Gif, ὀξύμωρον e noi

Scivolano le anime all’imblunire © 2007

Mi innervosisco due righe quando la cheta tranquillità delle mie giornate viene rotta, travolta, violentata, da elementi di perniciosa disarmonia come, per esempio, le gif animate. Si, le odio con forza, al pari delle animazioni in flash e di tutte quelle robe che, sullo schermo, hanno il vizio di muoversi e distrarti, mentre tu te ne stai godutatamente a scrutare parole e fotografie. Così è per tutto ciò che rompe il ritmo armonico del vivere: la pubblicità quando scorrono i titoli di coda dei film, le telefonate sgradevoli nel cuore del giorno, una tapparella che si rompe, inaspettatamente. Rumori non desiderati. Fastidio.

Ora, ora sono le 17 e 17, ho appena ricevuto una telefonata per nulla sgradevole, metto su delle note ganzissime di Schubert, mi slaccio le scarpe e apro la finestra all’imblunire dell’ora solare. È una vista pastello che incanta nelle tonalità così simili di sotto e sopra presenti nella medesima inquadratura. La pioggerellina, che cala con soavità, rende le lucine soffuse della città come note nel pentagramma dell’orizzonte e. Una nave passa, affondando la chiglia lenta e potente nel blu ventre languido del mare. Procede di silenziosa potenza indefinita. Scivola, scorre, penetra e dentro racchiude vita, viti e vite in gran quantità. La sagoma scura del costone di roccia del monte è degna cornice a questo ossimoro di silenzio e baccano (il vociare della ciurma e dei crocieristi) compresso. Il tutto è racchiuso dentro un’unica visione armonica. Ecco, ci ho provato a definire il quadretto che, ammiccante, rapisce i miei occhi in una pausa lavorativa di fine ottobre.

Dico, ora, non sarebbe catastrofico se, in questo mentre di idilliaca percezione, trillasse il cicalino citofonico e mi si presentasse, una minutata dopo, a scelta, un operoso sostenitore del giornaletto della fondazione comunista, uno stramaledetto testimone di genova, il signor Viscidon Vorwerk Volletten, una perfida impiegata rai ad esigere l’ingiusto balzello oppur anche il parroco coi i suoi due chierichetti tra le gamabe a pretendere di fare incantesimi tra le mie masserizie? Zio me ne scampi e liberi. Mi dico: sarebbe quasi meglio se si presentassero il mago otelma insieme a marchivannaefiglia. Almeno potrei testare la filettatura della mia nuova ascia di pace e riporre il tutto, senza sentirmi minimamente colpevole, dentro quella povera umida cantina che è così tanto vuota e triste.

È il 30 ottobre ed oggi, pare, sia passato un mese. Una mesata esatta esatta da quando il mio pollice sinistro, che il destro era impegnato a registrare, decise di farsi un giretto sulla guancia di una splendida seppietta la quale, in seguito, replicò al mio gesto con qualche centilitro di inchiostro per dire, a me, che le manco. Manco fosse un calesse, dico io. Il seguito prova che non aveva torto (cit.), lei, a scrivere, sulla sua complice agenda, due parole, la seconda delle quali inizia con effe e termina con. No, non termina affatto, a ben leggere.

Non era un inciso qualsiasi, il periodo testè scritto, anzi. C’entra assai con l’argomento trattato «rottura del ritmo armonico della vita ad opera di elementi eversivi». L’inciso sta lì, incollato nel centro della paginata, a voler sottolineare il fatto, decisamente raro per me, di quanto poche ed invisibili siano state le gif animate apparse nei miei pensieri nel corso di questo ottobre duemilasette. Per dirla semplice: sono, mi sento e respiro tranquillo, di questi tempi. Che quasi nessuna interferenza potrebbe davvero scomporre la rilassatezza delle mie mascelle. Lavoro tanto, alacremente e con concentrazione, ad un progetto che dovrò consegnare entro dicembre. Il poco tempo che mi rimane lo dedico, nutrimento e sonno permettendo, al pascolo del noi. Oltre non desidero raccontare, qui.

E il naufragar m’è dolce in questo mare. Wiki dice che questa frase contiene un ὀξύμωρον. Si, insomma, due opposti a contatto. Tipo: il rumore non lo sento. Ma anche: io sono noi. Cin! Buon anniversario, a te, che, pur essendoci, mi manchi.

Mi chiamo Mork

In immersione © Ph. by Vi 2007

Hai presente un extraterrestre in viaggio tra la terra ed Ork? Semplice, no? Sto solo nuotando. Dentro un paio di occhi colorati del mare. In questo moto onirico mi succede di espirare parole sgarbugliate ai confini di abbracci ad occhi chiusi, come avviluppato in uno stato di pensate parallele, a metà tra il reale e l’immaginazione. Son frasi apparentemente senza senso, quelle che pronuncio, tipo: “è nelle ricevutine la causa del tutto, ma non dirlo a Linda”, oppure “devi andare dal Dandy, questo è quel che conta, ecco”, oppure “le luci scientifiche ti fanno scendere sotto la superficie”.

Poi mi sveglio ed l’immersione prosegue. Senza Linda, il Dandy e le luci scientifiche. E contuniamo a nuotare, come stellasse nello spazio. In effetti, a ben sentire, è tutta una roba senza peso specifico.

Mork chiama Orson. Rispondi Orson. Dici che dovrei sentire uno specialista? Magari in quel che l’è e psiche? Naso naso.

Tuffo

Tuffo © 2007

Un tuffo.

E le parole non servono più a costruire, congettare, spiegarsi, interpretare, valutare, sospendere, bilanciare, soppesare, accusare, scusarsi, ricamare, storpiare (che poi son tutti modi di pensare, limitanti).

Dentro un tuffo le parole divengono gesti d’essenza e possono servire soltanto a descrivere il proprio stato dell’anima, slegato dalle definizioni e dalle gabbie. Infatti è risaputo che un’anima immersa in un mare riceve una spinta verticale (detta forza di discernimento) pari al peso di una massa di pensieri di forma e volume uguale a quella della parte immersa dell’anima stessa.

Variante post-tuffo: la forza centrifuga. Succede quando, dopo aver tuffato l’animaccia zozza in lavatrice, la estrai di bianco ripulita. Pronta a colorarsi di nuove azioni e parole.

Ecco, ora, dopo un gran bel tuffo e qualche ciclo di lavaggio, mi vado un po’ a stendere, preparato, con lievità ed, insieme, con una certa dose di svaccamento, ai trampolini un po’ più alti. Del fondo? Me ne fotto, naturalmente.

In punta di

In punta di © 2007

Ci sono giorni. Come questi. Momenti dentro i giorni nei quali mi pare di guardare alle cose presenti in punta di piedi, tanto ne sono pervaso, captandole. Senza bisogno di tacchi.

Una cosa, proprio a te,

che ti voglio dire, meglio, sussurrare,

così, come esce,

stamattina, non so perché, in verità si che lo so,

mi sento, ti sento,

pervaso di teak. Ed è ganzo assai.

In punta di cammino. Eppure i miei talloni li sento ben ancorati alle travi. Senza paura.

Onda di luce

Onda di luce © 2007

La sento. Sta per arrivare. È un’onda di luce. C.R.A.Z.Y. A sorpresa. La sento, proprio ora, mentre le cozze ed il coniglio stanno marinando nel sughetto di Sauvignon con olio, prezzemolo e pepe. Mentre spari bianchi nel mare infrangono i vetri della mia finestra, i Police, chiusi dentro l’iPod, scandiscono il ritmo del divenire ed io mi fumo un po’ d’attesa scribacchiando costì. Alzo il volume. Lo alzo ancora. Per farmi ballare le papille uditive. Vedi, mondo, è a te che sto parlando, ora. Non sento, oggi, la tua indifferenza. Sento rotaie, incroci, coincidenze. Si, soprattutto coincidenze. Ma mica di quelle che uno ci crede per forza, fino a convincersene. Ennò. Quelle che, per davvero, se perdi un treno ce n’è un altro dopo. E ti frega un cazzo dei binari morti. Ci stanno ma non li vedi. Io mò ce vedo solo stazioni e persone che si abbracciano con frasi tipo “fai la brava” o “a presto” o, anche, “i serpenti li lascio a casa, caso mai mi porto soltanto una mezza minerale ed i miei polpastrelli dalle proprietà aspiriniche”.

Dicevo dell’onda. Che, a bene percepire, son tutte onde, quelle che ci comunichiamo noi piccoli bipedi dotati di una scatola di pelle riempita di una marea di gangli, oltre che dei pensieri. Certo, però però. Però ci sono onde e onde. Anomale, talvolta, che ti attraversano fermandosi. Dentro. Luce bianca che tenti di fotografare, a forma di luna e protezione. Succede pure che ci riesci. Anche se non era scontato.

Posologia: mai dimenticarsi del dolce. Una cena perfetta ne perderebbe. Ed ecco, allora, che, dopo il coniglio con le cozze ed una semplice tartare di pesce pollo agli aromi sudati del mio giardino, ho messo in cantiere una mousse alle acciughe piccanti. Piacerà? Quello che è certo, stracerto, è che, a mandarla in vacca la serata, ci sono ottime probabilità, con un dolce così. Ed è proprio quello che ci piace, a noi, mondo. Leggasi: rotaie, sesso e caffè. Caffè corretto che ti vien da sputarlo tutto sul divano buono a causa di una risata troppo gonfia e tronfia.

Avvertenze per l’uso: chiudere gli occhi, tutti e quattro, e mettersi una benda nera sugli occhi. Solo così l’onda di luce apporterà il suo massimo beneficio, attraversando lo stomaco senza dolore.

Ehi, mondo, non è che potresti portarlo tu un limoncello o, che so, un litrozzo di viacal da mischiare alle aspirine? Per ammzzare il raffreddore, l’alito ed il tempo. Già che ci siamo anche i pensieri controversi.

Controindicazioni: chi se ne fotte!

Splash

Splash © 2007

«Avessi visto: ha fatto uno splash pazzesco! Probabilmente perché la bottiglia che avevo lanciata era assai colma, di parole e di essenze accumulate nel tempo. Dentro non ci avevo messo alcuna bussola, ma speravo che avrebbe potuto trovare ugualmente la giusta rotta grazie alle correnti favorevoli e nonostante le tempeste avverse.» Questo disse Pecos a Sue, seduti entrambi al centro dell’arena, sul far della sera, mentre i primi fuochi riscaldavano la curiosità degli astanti accorsi in massa per il gran concerto. Quella notte si sarebbe esibito un gruppo di sceriffi biondi che girava la contea a ritmo rock.

Pecos si tolse la piuma bianca dal cappello e la donò a Sue. Sue se la posò sulle cosce nude e sentì un certo solletichio. Gli sorrise lievemente imbarazzata. Sul palco scesero le prime note dal cielo e lei ebbe sete. Aprì lo zaino di cuoio, srotolò il contenitore di vetro dalla carta che l’avvolgeva e, afferrandolo per il collo, iniziò a dissetarsi. Bevendo il suo desiderio crebbe. Presto si sentì ubriaca d’affetto. D’affetto e di parole giunte da lontano. Pecos, sorpreso, nel riconoscerla, spalancò tutto il suo mood e si mise in ascolto di lei, in silenzio. Sue capì, dall’odore di mare che pure aveva mai visto. Capì il senso del ritmo e gli volle regalare tutta la sua imperfezione. Lui apprezzò, avvolse Sue intorno a se e, sotto un diluvio di musica, fecero splash.