GenoA Blues

10 giugno 2007 – Genova, you are red and blue.

Così, come cantavano Francesco (Baccini) e Fabrizio (De André), canto io, questa mattina di post-euforia rossoblu, vissuta dapprima allo stadio e, dopo 90 minuti di grande tensione, in seguito, per le vie della città, a festeggiare insieme al glorioso popolo genoano, letteralmente impazzito per il raggiungimento del traguardo della promozione in serie A.

C’è una fede, una passione, meglio, un Blues, nell’avere un cuore che pulsa di rosso e blu che solo noi genoani possiamo capire. GenoA Blues ne è l’essenza.

firmato resipirossoblu

Per chi desiderasse scariscarsi questo slideshow (con tanto di virus che trasformerà i pc sampdoriani in rumenta):

[Winzozz] [Mac]

E, perchè ci facciamo mancare niente, lo mettiamo anche nel tubo, questo filmatino, in attesa del prossimo: You Tube

Anciôe Belle Donne

Siamo seduti ad un tavolo, le mie due amiche zocche, Angie e Nayla, ed io. Iniziamo a degustare frittelle di baccalà e di anciôe. Il ristorante è nuovo, per me. Pareti colorate di arancio spugnato, luci calde e mobilia d’arte povera. Nessuna plastica artificiale ad infastidire le nostre propensioni d’amicizia e di racconti da raccontarsi di fronte ad una bottiglia di Fiano. Un posto di quelli che ti senti subito a tuo agio, a parte l’avida tirchieria dell’oste.

Due metri a destra c’è una coppia. Lui sui cinquant’anni, blazer in tinta unita e maglia nero pece sotto, aria leggermente austera, con due occhi profondi e scuri incesellati dentro una barba bianca ben curata, a cornice. I suoi gesti appaiono delicati ed anche incuriositi da quella donna splendida che è seduta di fronte a lui ed ora gli sorride, con ghigno intrigante, mentre il suo indice birichino scivola dentro quel che rimane di un dolce che potrebbe essere panna cotta. Il dito giunge alle labbra di lei che sembra guardare distrattamente oltre la pioggia che è impigliata sui vetri di una finestra che mostra i tetti di Genova. Civettuola.

Si. È proprio splendida questa donna nel suo corpo burroso, nei suoi capelli fini, nelle pieghe dei suoi vestiti da mercatino, nelle sue scarpe antiche e nelle sue dita che paiono aver attraversato un mare di tempeste ed adesso afferrano una maglietta turchese. Dita che si muovono a scatti, dita attraversate da una strana tensione, dita che compiono movimenti da bacchetta d’orchestra.

L’uomo potrebbe essere un vecchio capitano di vascello o un regista pirandeliano o, beh, che importa, non c’è bisogno di imprigionarlo in una categoria, penso. Si alza e si avvia verso un corridoio del ristorante scomparendo ai nostri occhi. Mentre si allontana noi ci diciamo che sembra uscito da un’epoca di transatlantici e sorrisi conditi da gesti gentili.

Ora lei, la donna splendida, è rimasta da sola, seduta sui suoi pensieri che sono sogni e viaggiano attraverso le sue espressioni orgogliose. Orgogliose, un po’ stupite ed assai ricche di desideri. Anche lei pare provenire da una cellulosa lontana nel tempo. È una donna che certamente deve aver incontrato ondate di malinconia lungo la sua vita. Lo dicono i suoi gesti e la sua apparente inadeguatezza. Apparente perchè il suo splendore riesce ad incantarci fino a farla assurgere al ruolo di una regina di cuori. Di certo non è bella da copertina ed il suo palcoscenico ha mai conosciuto lustrini e lussi. È un’anima senza tempo che un’età è proprio difficile dargliela. Non è neppure troppo composta, su quella sedia, a ben vedere. Ma è. È splendida, con sorpresa.

Torna l’uomo. Deve aver pagato il conto per due. La donna splendida gli sorride inarcando le soppraciglia e probabilmente lo ringrazia. L’uomo abbassa lo sguardo ed allunga la sua mano a lei. C’è sensualità a corrente continua. Ma non solo. C’è. C’è, ora, a spezzare la sobrietà del comportamento fino ad ora austero dell’uomo, un movimento delle sue labbra verso l’esterno che scompiglia le carte. Ne esce un’espressione di dolcezza che innonda la scena di incanto e silenzio. Senza imbarazzo.

La donna splendida accoglie la mano di lui. Poi, con l’altra, afferra dal davanzale una racchetta da sci. La appoggia sul parquet e, con un notevole sforzo, fa leva dal basso al cielo della stanza, alzandosi in piedi. L’uomo la prende sottobraccio. Sulla loro tavola è rimasta una bottiglia di vino bianco ed un’aura di splendore che inebria i movimenti delle nostre dita che brindano alla condivisione e all’improbabile coppia di avventori, emersi questa sera da uno dei mari più caldi che io abbia mai accarezzato.

Ora. Solo ora vedo l’incedere difficoltoso della donna splendida e storpia che si allontana con l’uomo verso la loro isola di intesa. Se esiste dio loro sono dio, per me, in questa sera di pioggia e anciôe.

N.d.b. Anciôe = Acciughe (Anciôe Belle Donne è il nome del ristorante).

Derivando

Derivando © 2007

Stasera, gironzolando attorno al mio mare, mi ha incuriosito questa scatola di legno sbattuta dalle onde ed incastrata tra gli scogli. Così, intanto mi va di mettere la foto che la mia fida macchinetta ha scattato. Poi, con calma, una storia ce la scriverò perchè la merita. Si, si. Un lampo di fantasia che mi racconti da quale luogo giunga a me questa scatola e quale tesoro, o vuoto, nasconda al suo interno. All’improviso la vita può mutare. Con sorpresa. Per ora ho solo il titolo, della storia: Derivando. Pian pianino verranno fuori le parole. Magari proprio quelle non t’aspetti.

Il pesce balla

Note al mare © 2007

Mi sono seduto su uno scoglio. Qualche sbadiglio sotto c’è il mare. Mi dico: stai sveglio. Lancio un amo e srotolo il filo. Rosso di passione ed elastico di galleggianti desideri. Poi mi metto ad aspettare. Esca la musica, di note corrisposte. Vediamo se prende. Non c’è premura e neanche cattura. Passano i minuti rincorsi dalle ore nonchè dai mesi ed il ritmo del suono si propaga come onde elettro molto magnetiche. A pelle dico che verrà a galla. È questione di bolle. Prima o poi il pesce balla.

Sei bella. Da togliere il respiro, al mare.

Correre

Margherite © 2007

Mi sdraio sulla sdraio a meditare sui destini del pianeta. Sono in mutandine. Dopo un dieci minuti mi alzo e vado a potare le poche rose del giardino. Bagno il prato. Mi ci metto io, in mezzo al prato, e porto la canna sopra la testa per docciarmi e sentire lo splah dei piedi sull’erbetta rasata da poco. Fremo di brividi e comincio a muoverermi per diminure l’oca sulla pelle e trovare un certo equilibrio tra il mio essere e la brezza di primo mattino. Primissimo mattino visto che il sole sta facendo capolino oltre la montagna e colora di sfumature calde ogni pezzetto di mondo che si stratifica attorno.

C’è musica che esce dalle finestre. È una canzone di parecchi anni fa, è dei Police. Parla di respiri. Mi asciugo e vado incontro a lui che, nel frattempo, ha preparato la colazione. Ci sediamo per terra un folto grappolo di minuti e, in silenzio, ci raccontiamo la giornata che sta partendo. C’è sottopelle, in me, una forte dose di adrenalina che ancora mi fa vibrare di rosso ed arancio. Succede sempre, dopo ogni volta che facciamo l’amore ed io sento lo sperma di lui ancora caldo dentro di me. Ma come capperi ci siamo incontrati noi così diversamente uguali? Me lo chiedo ogni giorno, fregandomene della risposta.

Succo di arance rosse. Latte. Fragole senza panna. Lui si alza e va a cercare faag che è andato a pigliarsi con il gatto dei vicini. Io faccio un po di streching e poi mi vesto. Ho voglia. Come ogni mattino ho una voglia tremendissima. Indosso calzoncini, maglietta e scarpe. Sto bene. Lo bacio. Ci baciamo. Esco di casa. E vado a correre. A bruciapelo. Per ritornare a me.

Una sensazione

Eye © 2006

Una sensazione

che ti prende

una

sensazione

sia pure controversa

che un filo lo tiri

e lo ritiri

ed ancora lo allunghi

fino a sfilacciarlo.

Poi si spezza.

Capita sempre.

È fisica, chimica, matematica. Boh. E che me ne importa cos’è?

Oppure.

Oppure che ne so. Ci ho mai capito un cazzo.

Non sarà mica un caso se non sono un esperto di convivenze.

Enno no.

Eppure.

Eppure ci rimango ingrovigliato

sempre

sempre troppo tardi

quando me ne accorgo

del ragnetto che paziente attende

di far gozzoviglie con i brandelli della mia carne

vomitandone pure

un po’

sulla mia bella camicia bianca.

Conta.

Non so bene cosa conti.

So.

So di una sensazione

che mi prende

e mi sveglia

nel cuore

ma anche nell’esofago

della notte

e

riempie d’ortiche il mio respiro sudato.

E,

e intanto dormo solo.

E