Baciami, sciocchina

Bacio © 2007

Ambvoggiooooo. Ho. Ho come una incommensurabile, profondissima ed impellente voglia. Altro che languorino! Voglia, si. Di apnea. Ora, subitissimo! Alla francesa.

Che risucchi ogni cellula di. Spoetizzando con poesia. Ora, ho detto ora, cazzuto di un maggiordomo. Procurami la materia prima. Di prima scelta. Di quella che ti stordisca da qui all’eternità. 24h. su 24h. Festivi e feste comandate incluse. E cacchio! Ti sbrighi? Che le cellule invecchiano e le mamme imbiancano.

Lasciando perdere i baci a pagamento ed i distributori automatici è certo che, a quest’ora, non sia proprio facile reperirlo. Un bacio. Di quelli da ingoiare e rimanerci anestetizzato come in una fotografia in bianco e nero. Niente? Sobbete. Va là, Ambvogio, dimmi la verità. Io ti piaccio? Almeno un po? No? Amen, neanche tu! Non mi resta che attendere. L’onda che mi infranga.

È meglio un bacetto oggi o una limonata domani? Che disseti finchè gazzosa non ci separi. Io opto per il limoncello. Che fa rima con litigarello.

Tant’è la voglia rimane. Sarà la prima vera. Quel non so che. Che cacchio ridi? Baciami, sciocchina. 3 metri sotto il livello del mare. Ed anche più sotto, in apnea, se possibile. Ora. Faccio un salto nel giardino del re. L’erba buona è finita. Mi dispiace. Ambvoggiooooo. Hai visto la regina? Che, se la incontrassi, in questo mentre precisissimo, so io che mi farei fare da quella costumata.

Come cosa? Quella cosa. Che dopo non dovrei saltare più di ninfea in ninfea. E vissero felici e vibranti.

Ora chiudo un poco gli occhi, ma non stomp e neanche disperato. Sai mai, mi dico, che, con dolcezza, partissero le sue labbra. Fino alle tonsille. Quanta voglia! E quanto silenzio stasera, Ambvogio.

Foottitene

Piedi © 2007

Foottitene, delle stronzate. E accelera.

Bruciavo asfalto, stasera, tornando a casa by moto, e bruciavo pensieri positivi a raffica che convolgevano un certo numero di persone e di situazioni in divenire. Pensieri che si accavallavano tra le spire di un negroni ed un film sulla stasi (nel senso di polizia segreta della ddr) al cinematrografo. Sopra tutto quest’ultimo mi ha lasciato addosso un senso di gratitudine enorme per la libertà di cui ho sempre goduto nella vita. A dire, fare, baciare, lettera e testamento quel che mi pare senza il bisogno di leccare i piedi a qualcuno e, ancor più, senza la paura che qualche spia comunista potesse incriminarmi per la mia non conformità al pensiero collettivo. Libertà che, solo a pronunciarla, le labbra si dilatano in una smorfia di soddisfazione. Accelero e fanculo allo stronzo che, in dieci giorni, si è fregato le mie freccie ben due volte. E fanculo, senza riserve, a coloro i quali si lamentano del nulla e si iniettano la coccoina nel cervello. Accelero ancora e rilancio, drogandomi di un’altra parola che scocca forte e dall’inguine sale su, fino alla visiera del mio casco. La parola è passione. Faccio uno più uno. Ma anche cento più cento. Libertà e passione, da vendere, ecco. Cos’altro mi serve? Niente, cazzo. Sono proprio un ragazzo fortunato. Va beh, non bariamo, un uomo. Un uomo schifosamente fortunato. Ho tutto. Senza stasi. Rallento.

Scelgo. Di godere. Fino in fondo e senza scarpe.

Piedi volanti © 2007

Aggiornamento. Ecco. Sono uscito a farmene un’altra, di foto, al volo. Fette, mica pinne.

Mi alimento di

Mi avevi chiesto se mi piacciono le fragole. Per risponderti, si, mi piacciono le fragole.

Fragole © 2007

Pure la pizza.

Pizza © 2007

I pomodori.

Pomodoro © 2007

E le fave col pecorino. Il salame era terminato. Insomma, mi piace il cibo. Mi piace succhiare tutto ciò che è buono (meglio se preparato con passione) e mi succhierei anche i tuoi occhi.

Fave © 2007

Ed ora scrivo due minchiate, per il solo gusto di. Di far defluire. Di provarci gusto ad assaporar sapori. Di ingurgitare quanto i miei organi ricettori sono capaci di assorbire. Per poi espellere il tutto sotto le più diverse forme. Dal consumatore al produttore. Risulta evidente che l’odore possa anche sembrare, molto spesso, sgradevole. Ma naturale. E si sa, se una roba è naturale, va difesa strenuamente, a costo di trovarcisi a galleggiare. Come quell’acciuga che hai distillato per farne una eau du mer con la quale profumarti la mattina. Mi stende.

Ma parliamo delle basi commestibili presenti in natura prima che sapienti (o incapaci) manine umane le trasformino in preparazioni chimicamente modificate. Dal naturale al cucinato, insomma. Sapevi che è da una vita che mi occupo di cibo? D’altronde chi non l’ha fatto, a vari livelli? Beh, ma io di più, avendo dovuto girare la peninsula e zone limitrofe alla caccia di ristoranti, pasticcerie e betole gastronomiche di ogni tipo, al fine di fotografare cibi da sbattere sulle pagine di qualche giornale culinario affinchè le brave massaie italiane potessero dire «Ohhhh! Ma che bbbbbbbbbuono».

Goloso, prelibato, dolce, piccante, nutriente, croccante, delicato, succulento, delizioso, saporito, semplice, godurioso, gustoso, bouquet, retrogusto, appetitoso, prelibato, stuzzicante e, beh, anche schifoso, insipido, disgustoso, cattivo… sono tra le parole che più spesso ho pronunciato nella mia esistenza. Vocaboli ne ho masticati di tutti gli odori, nella vita.

Al cibo do ed ho dato un’importanza davvero notevole, cercando e ricercando sovente quello che si confaceva maggiormente al mio palato. Un palato vorace. Praticamente onnivoro. Io, il masticatore di sostanze da inglobare nel mio organismo che poi diventano me. Quindi sono il cibo che mangio. Stasera, per esempio, carpaccio di rotondino con salsa alla Harri’s Bar e radicchio tagliato fino fino. Alimenti che generano parole, evidentemente, pur senza l’ausilio di un buon vinello. Caffè. Bicchierino di Marsala.

E poi caccio fuori. Pardon, espello. Ripardon, esprimo energie. Qualche volta somatizzando. Qualcun’altra anche. Questo volevo dire. Dirti. Che, in fondo e pure in superficie, è tutto un riciclo continuo. Di energie che si modificano chimicamente. Tornando ai tuoi occhi, che mi succhierei, ecco, chi sa cosa ne uscirebbe. Se lo chiedono le mie papille.

Di gusto, mi alimento di te. Che sei nature.

Tutto ‘sto mucchio di ingredienti per dire una cosa così semplice, eh. Contorto che sono! Domani brodino e a letto.

Ritratto #3

S. © 2007

Dorme stasera il temporale.

Sfoglio quel diario. Di progetti incastrati con l’idea di un presente trascorso da mesi. Mi soffermo su parole, idee, spunti. Chiudo gli occhi e mi lascio andare al bagliore di due occhi che seppero incantare il mare dopo averne temuto il fragore. È qui con me quella stellina a cinque punte rapita dal tuo ventre ed ormai marcita del tempo. Ci gioco come si può giocare con la superficie di una fototessera di cent’anni fa.

M’innamoravo di tutto quando, di mestiere, cacciavo emozioni ed il carniere era una linea trateggiata di successi ed orizzonti invalicabili. Scrivevo storie. Storie quasi sempre vere. Mica fregnacce per dire.

Storie di accoglienza e fughe a ripetizione, amplificate da ossimori a ritmo incalzante. Sfondo: rocce taglienti, profondo blu ed un cerchio d’asfalto da percorrere a piedi. E ricordo, mi ricordo, che fu un faro a bisbigliarmi che avrei dovuto tuffarmi. Lei ne vide la luce. Da lontanissimo. E ci illuminammo, tanto che l’inchiostro diventò una strada sul mare. Finchè scolorina non ci separi.

Linee di congiunzione

Gomitolo © 2006

Enzo, oggi, grazie al sito degli amici del P.O.C., ho desiderato curiosare, emozionandomi, dentro i tuoi blog. Poi ho trovato queste parole. Che mi piace incollarmi addosso.
Così, anche se ci siamo mai incrociati in modo diretto, mi manchi.

“Il futuro è una serie di linee di congiunzione in formazione. Noi non le vediamo, ma sono là, come nuvole spinte da venti capricciosi o sapienti, e la nostra strada, senza che noi lo sospettiamo, sta per congiungersi con altre, con le strade di dieci, di cento, di mille altre persone, e il gomitolo delle linee di congiunzione formerà le nostre vite, i nostri destini. Ogni tanto bisogna fermarsi, respirare con calma, rilassarsi e aspettare che le linee di congiunzione si congiungano.”

Enzo Baldoni

Tu seminavi entusiasmo. È ciò che anch’io vorrei esprimere, sorprendendomi gomitolo. Per srotolarmi con curiosità e dare una sbirciatina al futuro che ci soffia in faccia. Pensando differente, come te.

Ritratto #2

Ritratto #2 © 2007

Mi chiedo, alle volte: «E se avessi avuto una faccia così. Oppure cosà. Oppure.» È una domanda stupida. Perdinci. Lo so. Butto via delle belle manciate di tempo a far stupide domande. E passi. La cosa davvero irritante, in verità, è perdere ulteriore tempo a cercar le risposte. Consistenza ci vuole. Ed un discreto self control oltre ad una bella bombola di nitrox per tornare ad immergersi, al più presto. Dico a te, eh, faccia di bronzo. Amico fragile e generoso ma alquanto pasticcione. Un pugno in faccia ed un abbraccio gigantesco, prima che poi, non te li leva nessuno. È ora di togliersi quel buffo cappuccio che a me sembra tanto un gondone, amigo mio.

Ritratto #1

Ritratto #1 © 2007

Così, è da un po’ che la mia concentrazione si ferma sui volti delle persone. Su un autobus, in barca, nei bar, a tavola con gli amici o ad una festa di bimbi. Dovunque e quantunque. Ho detto concentrazione. Si, infatti, come ripeto sempre, ci vuol passione ed attenzione per percepire quelle sfumature dell’animo che possano farti entrare dentro colui che ti sta di fronte, infrangendo i filtri della forma e le tensioni che sovente impediscono la vera comunicazione. Comunicazione d’intenti. Allora, per qualche giorno, inserirò dentro questo mio spazio, fotografie di persone. Ma non persone qualsiasi. Persone che sanno guardare, senza paura, dentro gli occhi. Con grazia e forza espressiva. Sempre e comunque con fierezza. Perchè questa è la vera bellezza. Una bellezza che chiunque possiede ma non molti sanno tirar fuori. Ecco, io credo di avere il dono di tirar fuori quella degli altri, mettendo a proprio agio chi si pone di fronte al mio obiettivo. So altresì di dover percorrere ancora molta strada per dimostrare la mia, di forza, di fronte ad un obiettivo che è, in fin dei conti, lo specchio col quale ci vedono gli altri. Forse per riuscirci dovrei mettere da parte quella residua incertezza dell’essere abbandonato che più di una volta, nella vita, mi ha fatto inciampare. Ecco, lei, per esempio, lei il soggetto di questa foto, ora non ne ha più paura.

E, un giorno, si, vorrei fotografare anche te che ora stai leggendo queste mie parole. Perchè io ne sono curioso, di te. Ecco, tu, ora prova a guardare lo schermo che hai di fronte a te come guarderesti dentro il mio obiettivo. Intensamente, con presenza, con curiosità, ora, si, ora, provaci, ad oltrepassare questo cazzo di monitor. Guardami. Senza abbassare lo sguardo. Guardiamoci.