Questi due arcobaleni li avevo fotografati per te, quest’oggi. Noi.
Volavo così…, Genoveffa, fino a l’altro ieri, quando ti ho dedicato, per il mio compleanno, le parole urlate nel post precedente nelle quali ti scrivevo di essere pronto a donarmi senza nulla aspettarmi. A donarmi a te senza paure. L’ennesimo post dedicato a te ed al nostro sogno nato proprio su queste pagine e sviluppatosi rapidamente nella realtà delle nostre vite, cara la mia dottoressa dell’immaginario.
Ma. Ma le cose cambiano rapidamente. Ed è frustrante sapere di poter fare niente per fermare l’emorragia di dolore che si sta abattendo su di me, ora. Per via delle tue parole di stasera che sono una bastonata dalla quale sarà difficile, spero non impossibile, rialzarsi. Ora piango e posso solo sfogarmi scolpendo queste parole, mescolate con le briciole del nostro sogno infranto prima che diventasse magica consuetudine.
Scusa se ti chiamo Genoveffa, lo faccio per mettere un granello di ironia tra gli ingredienti umidi di questa pietanza che non mi è affatto facile digerire. Ti avevo scritto, sei giorni fa, la lettera che pubblico qui sotto e che ora mi va di appicicare sul mio blog. Giusto perchè è il mio blog e deve, necessariamente, registrare i miei stati d’animo. Anche quelli amari, per una volta, e non solo quelli entusiasti e positivi che ti affascinavano tanto.
Eccola, quella lettera. Frutto del tuo primo addio. Dopo di essa qualche bombola d’ossigeno e la tua apparente incapacità di rinunciare a me, così mi hai detto, avevano nuovamente pennellato di luce il nostro sogno. Sono trascorsi alcuni giorni e stasera, all’improvviso, quasi all’improvviso, dopo le illusioni di questi giorni, mi hai abbandonato. Ancora. Ora, come ti ho detto, sono solo. Mi sento solo. E piango nel ricordo di tutto il coraggio che mi avevi regalato e che adesso hai fatto naufragare in un mare di niente.
Ti odio e ti adoro.
Volo così…, Genoveffa,
stasera vuoto. La canzone, che sto ascoltando, dice “… e all’improvviso il vento smuove nuove sensazioni che non so più distingure. E all’improvviso non resisto più alle tentazioni e ricomincio a vivere, a vivere…”.
Il volume impregna le pareti. Dentro e fuori di me.
Anch’io, si, avevo ricominciato a vivere, sai. A volare. Avevo abbracciato, con tutte le forze di cui disponevo, il sogno di una vita. E scusa, Genoveffa, se stasera ho voglia di parlare di me ed un po’ meno di te. Delle tue incredibili paure che stanno frantumando il mio grande sogno. Anzi, il nostro, di sogno. Perchè è nato insieme.
Per la prima volta, che tu mi creda o no, dopo dodici interminabili anni, ho sfiorato, con la punta delle dita, la vetta delle mie emozioni. Ho cullato l’idea dell’amore senza il terrore di essere abbandonato. Ho camminato per due settimane senza toccare il suolo. Che parevo un angelo. Avevo deciso di lasciarmi andare. Nuovamente. Anzi, no. Non l’avevo deciso. È semplicemente successo. Di sentire, dentro di me, la gioia di darmi senza chiedere nulla in cambio. Ho percepito, irresistibile, l’essenza pura dell’amore ed il desiderio, folle, di saltare gli ostacoli più alti pur di proseguire, insieme a te, il nostro viaggio verso. E molto poco mi interessava in quale luogo si svolgesse il viaggio. E quali distanze avrei/avremmo dovuto percorrere. Adoravo solo l’idea del viaggio. Di quel viaggio che abbiamo solo iniziato.
Avevo solo voglia di essere felice.
Eppure. Eppure, nei giorni scorsi, i tuoi occhi mi avevano urlato che, anche tu, ci credevi. Che eri felice come da molto tempo non ti sentivi. Che sognavi. Come me. Ero orgoglioso di odorarci di felicità ed i miei occhi erano quelli della gente che ci vedeva e, probabilmente, pensava “che belli, come vorrei sentirmi come si sentono loro…”.
Eppure. Eppure, da qualche parte, c’è uno stramaledetto universo che si diverte a levarmela lui la felicità, a spingermi giù, giù giù, nel profondo abisso, proprio quando sto nuotando senza paura degli squali.
“Volo così, volo nel sole perchè ho voglia di bruciare…” prosegue la canzone. Io ti vorrei sentire complice, non una nemica contro le cui paure combattare come Don Quixote contro i mulini a vento. Io credo in te come mai nessuno aveva fatto fino ad oggi. Credo in Genoveffa. Tutto qui. E le avversità avrei voluto e potuto distruggerle con forza comune. Avrei voluto essere il tuo più grande alleato. Ripenso a quando mi scrivesti frasi bellissime come “avrei voluto essere li” e “invecchiamo insieme….il bello deve ancora venire…” e “ti adoro, si, tu dentro di me…” e “mi incanti quando sento fremiti di piacere scorrere sul tuo corpo se ti dico delle cose. mi incanti quando sento il tono di bambino nella tua voce. mi incanti..” e “si si… e io ti aspetto qui ansiosa di abbracciarti”.
Ecco, vedi, Genoveffa, alla fine sto raccontando più di te che non di me. Ed, invece, avevo solo voglia di impregnare questo foglio con il mio dolore e la mia tremenda incazzatura contro l’impotenza di fermare l’assassinio di un’opera delicatamente magica. Di impedire l’omicidio, senza movente, del nostro amore.
Ho la gola secca, dalle troppe sigarette che, invano, cercano di riempire il vuoto che ho dentro.
Mi manchi molto. E, anche se mi sento una roccia senza lacrime, per non sgretolarmi, mi sto drogando di lavoro, che, per fortuna, sta andando, almeno quello, benissimo. Perchè farei di tutto, ora, pur di non pensare. Pur di non immaginare i nostri baci profondi e la tenerezza con la quale ci sostenevamo le mani. L’abbraccio, senza tempo, dei nostri destini.
Tra qualche giorno sarà il mio compleanno e sai bene quale sarebbe stato, per me, il regalo più grande. Sai che mi sarebbe bastato il tuo augurio per farmi sorridere un giorno intero. Ed invece, ora, avrei solo voglia di correre, a perdifiato, lungo una strada senza incroci. Avrei solo voglia di liquefarmi in un negroni.
Assaporo la pungente sensazione del ghiaccio. Bevo il freddo di una sgradevole sfiducia verso il vento ed ho poca voglia di rimettermi in gioco. Poca di alimentare il camino della fantasia. Anche se il sogno non vuole sapere di spegnersi, del tutto. Cerco acqua. E grigio. E il niente.
Mi rivesto di una desertica coperta di solitudine che mi avvolge nella distesa di nebbia. Gli abiti del desiderio sono, inanimati, lì per terra. Mi guardano con sorpresa.
E già lo so che cosa succederà. Domani, dopodomani, prima o poi… farò soffrire incolpevoli persone che si fideranno delle mie buone intenzioni. Del mio ingenuo sorriso in cerca di caldo. Ed io, il solito trattenuto, vorrò tenere tutto sotto controllo per non farmi mai più abbandonare. Abbandonerò il gioco per primo, come ho fatto per dodici anni, e poi mi consolerò pensando che “quello non era amore”. Che “le farfalle dentro la pancia bisogna sentirle in due e le mie erano, piuttosto, pulci invisibili. Mica come quella volta là…”.
Io non ci sto. Ma avrei bisogno. Ho bisogno di un cenno, di una piuma colorata della tua dolcezza, per continuare a lottare, Genoveffa.
Ora, ho solo voglia di piangere.
mic
Ora mi manca il respiro. Anche quello del mare.
Non volo più. Gli arcobaleni nati dal fuoco sono stati uccisi dal vento chiamato paura.