Sono

Sono un fotografo solo quando fotografo.

Sono poesia quando poeto.

Sono un cazzo quando cazzeggio.

Sono tutto e sono niente.

Sono il mare quando lo respiro.

Sono te quando le tue corde vibrano di piacere.

Sono le sfumature d’ambra quando è sera.

Sono l’oggetto.

Sono la brezza quando veleggio.

Sono l’affetto quando ti abbraccio.

Sono una lacrima quando sei triste.

Sono un ubriacone d’anime.

Sono il ghiaccio quando il tuo sguardo è a zero.

Sono il fuoco quando mi riscaldi.

Sono un bacio quando due amanti si baciano.

Sono un naufrago con le radici nella terra.

Sono “The wall”, le cui note, ora, stanno entrando, mattone dopo mattone, dentro la mia testa, impadronendosene come un martello col chiodo.

Sono la strada che la mia moto percorre.

Sono.

Sono quello che sarò.

Sono un negroni se lo bevo.

Sono il viaggio che mai ho fatto.

Sono un respiro, timidamente lungo, quando mi guardi con dolcezza.

Chiedimi mai chi sono, perchè non sono.

Amo il divenire, con sorpresa. Odio le etichette, di ogni genere e tipo. I target, la pubblicità, la moda. Tutto ciò che è filtrato, a nascondere la verità. La verità, ecco. Cos’è la verità? Non mi basta dire che è il contrario della menzogna. La verità è il centro, terribilmente a fuoco, del sentire. La mia verità è quella di un brindisi guardandosi dentro le pupille. È il calore che sento nelle mani. È l’inchiostro che vomito senza chiedermi chi lo assorbirà. E quale effetto sortirà.

Guardo oltre il monitor e che vedo? Lo sguardo si concentra sulla danza delle foglie di papiro, coreografato dallo scirocco. Ballo. È la mia verità, in questo preciso momento.

Uno sguardo che cattura, come quello di mio nipote Tommaso che nuota senza pensieri, è verità. Si, la verità è anche purezza. È tutto ciò che non è filtrato dall’etichetta del pensiero di menti contorte o subdole. E non è certo facile crescere liberi dalle falsità della religione, della politica, dei tuttologi via etere. Liberi da ogni ideologia che ci sovrasta da sempre. Però si può. A fatica e senza ansia. Basta dire basta!

Basta nuotare dentro le molecole della vita senza domandarsi a quale categoria appartengano. Beh. Io ci sto provando, davvero. Scriverlo è una traccia, seppur piccola, di verità. Evolvo.

Chiedimi mai chi sono, perchè non sono.

Almeno non oggi. Oggi me la godo, di gusto, la vita.

Oggi sono.

Ventre d’mare

Il mare visto da dentro è come il mondo visto dal ventre.

un po’ come ascoltarsi…

un po’ come sentirsi…

un po’ come scoprirsi…

osservandosi da dentro

scollegando testa

ammutendo cuore

sintonizzandosi solo di pancia

per ri_trovare sè stessi.

Plillina

Il mare è il luogo dove tutti un giorno ritorneremo.

Nasciamo nell’acqua e all’acqua torneremo.

Babele75

di questo mondo blu

il mio rapimento

è dentro

quell’assordante rumore

che compio

respirando

il ricordo della mia presenza

in quel ritmo

il resto è

danza

luce

eleganza

Cominciare

Post in divenire…

Senza parole

A voi blogger.

Nel leggervi. Capita che. Talvolta. Vengo risucchiato. Sorpreso come un bimbo che osserva un immenso acquario popolato da curiosi ed affascinanti esseri multicolore. Per ciò. Sento in me il desiderio, vibrante ed appagante, di immergermi nel profondo di vite non mie.

Finisce che. Mi ritrovo. Necessariamente, senza parole.

Grazie.

In perenne attesa

I suoi piedi, terminali di lunghe gambe sottili, disegnano immaginari semicerchi sulla battigia. Le sue palpebre sono socchiuse quanto basta per intravedere, a pochi centimetri dal suo ombelico, il confine tra desiderio e repulsione. Le sue mani ciondolano lungo i fianchi come un’altalena che compirà mai un giro completo su se stessa. È rigida con ansia.

In perenne attesa.

Il suo immobilismo è distratto solo dalle occhiate altrui che sente conficcarsi sulla sua pelle nuda come spine di riccio. Sono gli sguardi, in realtà incuranti e neutri, di colori i quali riemergono da una nuotata o, come lei, si accingono a tuffarsi in mare.

I suoi occhi grigio-azzurro sono rapiti dal crepitare delle onde che le si avvicinano e che lei vorrebbe le confidassero alcune informazioni di capitale importanza quali la viscosità, l’umidità, il grado di inquinamento, il peso specifico, la salinità e l’esatta temperatura del pericoloso liquido che sta per affrontare.

Evidentemente sono solo scuse per la quasi-tuffatrice. La giovane donna in equlibrio incerto che, dopo minuti e minuti di attesa, non ha ancora deciso se immergere se ed il suo corpo nella distesa d’acqua in movimento che le è di fronte, a tentarla con cautela, oppure tornare all’asciugamano e bibita adagiati con cura alcuni metri più indietro. Si massaggia il ventre. Si gira. Incrocia le mani. Si rigira. Si inarca, lievemente. Trattiene il respiro. Si blocca, inevitabilmente. Il mare dei se si gonfia sempre più.

In perenne attesa.

Più scorre il tempo, inesorabile come può esserlo un plotone di barracuda che non le darà scampo, più i dubbi si materializzano in lei. L’affanno cresce. I suoi pensieri ondeggiano tra la sensazione di pellebagnata-fresco-goduria-relax-voluttà-sollievo-lascività e la paura di.

Infine. Ineluttabile a lei giunge un’onda, dolcemente anomala, e la travolge. Si ricorda di essere stata bambina. Nuota.

Roccia nel sole

Fuori mi ci specchio.

Dentro vi vedo una donna, di bellezza impregnata. Una donna selvaticamente ruvida nel disegno che l’ultima luce del sole tratteggia. Freud, dai, non rompere i coglioni… È il complemento. È la mia ambizione di conquistarla per esserne conquistato.

C’è qualcosa, alle volte, che mi calamita e non ne so il perchè. Così mi lascio ubriacare dall’elisir che filtra dalla sua parvenza. Con brrrrrrrividi. Ad innamorarmene. Succede quasi sempre senza preavviso. Così è stato l’altro giorno, quando scorsi quella roccia nel sole.

Superficie dolce e vaginale. Pelle graffiata. Fascino muscolare. Da accarezzare, a lungo.

Prospettiva che muta. Infinitamente muta. Un mosaico che si de-ri-compone e (urlandomi) mi sussura “prendimi”, “comprendimi”, “sii me”. Ed io proprio… No. Non so resistervi.

Allora tento di coglierla, con eleganza.

Sotto la superficie. Che cosa troverò sottopelle? Vorrei scoprirlo, in apnea. Mi concentro. Desidero essere pietra. Quella pietra. Desidero essere luce. Desidero essere. Mi immergo.

Inspiro. Espiro. Poi mi lascio entrare nell’essenza di quello scoglio tanto attraente. Per divenirne materia. Gocce di me trasudano, per scorrere lungo i suoi solchi forgiati dal vento.

È bellezza. Sorprendente bellezza. Da accudire nel tempo.

Fermo il tempo.

Clic.

Improvvisamente, il paradiso

Tutto al volo. In un pomeriggio quasi qualsiasi di Giugno. Ho seguito la scia dei miei sogni e sono partito. Improvvisamente e nell’arco di qualche ora ero pronto per salpare. Al mare. Sono scivolato, auto e Laser (barca a vela di circa 4 metri) al seguito, via traghetto, verso una meta tanto conosciuta quanto, al tempo stesso, mai abbastanza esplorata. Mai abbastanza vissuta.

Il mio paradiso del vento.

Sono scivolato dentro le dolci acque cristalline del Mediterraneo per riemergerne, dopo nove intensissimi giorni, carico di vitalità e. E. E… Mi sento un tuffatore che, dall’alto di dieci metri di brivido, si è lanciato a spezzare, lama di ceramica, il confine tra aria ed acqua, per saldare il desiderio alla sua origine.

Per giorni ho ascoltato il sibilare acuto della randa cazzata a ferro ed il silenzio immerso nell’assenza di peso sotto la superficie del mare. Ho accarezzato, incantandomene, le interminabili prospettive del sole che pennellava rocce di granito come sculture in continuo divenire. Ho visto cose che voi umani… Ok, ok, sto esagerando. O forse no.

E, poi, mai sazio di vita e di disarmanti emozioni, ho viaggiato ancora, lungo strade parallele al mare, per assaporare, consapevole-incosapevole che sarebbe accaduto veramente, la delizia di frutti esotici il cui sapore dolce conoscevo solo nei baci teneri di un bimbo che ti augura la buonanotte. Nude evasioni dall’azzurro sbiadito dell’umida calura dell’estate che è sopraggiunta senza neanche bussare alla mia porta.

Il nostro paradiso delle creature del mare.

Senza nubi.

Dopo molte e molte traversate, boline a raccontarsi verso il vento, traversi a volare in perpendicolo alla sua direzione e poppe a farsene cullare sospinti dalle altalene di spumeggiante forza, sono approdato alla solita conclusione.

Che, quando l’aria si fa tersa dai dubbi, quando l’aperitivo della conoscenza è un sorriso e non la diffidenza, quando il sentire è di molto più fragoroso del pensare… Quando avviene ciò naufragano tutte le paure. Le malattie dell’animo evaporano come bollicine che, salendo, dal profondo di un’immersione, si perdono aria.

Quello si, è il paradiso. Il resto è niente.