L’idea del mare

Mare – © Ottobre 2006

Sai, sai cosa mi perplime, assai?

Che, troppo spesso, è l’idea più importante della sostanza. È umano, lo capisco. Eppure atroce.

Leggiamo così velocemente. Nessuna pausa. Distrattamente, camminiamo, dentro un film di vapore, senza cogliere la mosca di Amelie. Assenti, percorriamo istanti di vita, pensando, in luogo di ciò che percepiamo, a concetti che distolgono. Dal centro. Che nulla hanno a che fare con la bellezza che è di fronte ai nostri sensi. Svanisce.

Ci brindiamo, ci stringiamo la mano, ci osserviamo, ci sfioramo, ci parliamo, ci ascoltiamo, ci cibiamo, ci incuriosiamo, ci annusiamo, ci scopiamo, ci. Con distrazione. Cazzo!

Ci lasciamo suggestionare, poi, invece di viverlo in prima persona, da qualsiasi lampo ci venga scaraventato addosso dall’eden meccanico che ci accerchia, allo scopo, sovente, di venderci qualcosa. Inermi. Subiamo, lasciandoci attraversare dalle mode e dalle illusioni. Dall’idea delle cose.

C’è un esempio che mi faccio spesso, sai. Rende. L’idea. Appunto.

Il mare.

Ecco, medita, un momento, sul mare. Che sensazioni genera, in te? Bellissime, vero? Pensi all’infinto, alla sua placidità, quando è olio, immagini che ti offrono l’idea della serenità. Quindi rifletti sulla sua maestosità, che tanto si sposa con il tuo stato d’animo, nei momenti di burrasca. Un’idea di rimescolamento emotivo. Ti ricordi dei suoi flutti, degli spruzzi d’acqua, del suo tepore, quando ti accarezza. Sole, cuore, amore. Molecole di vita. Pesci, crostacei, spuma bianca, strati blu, scogli, vele, magici riflessi. Da perdercisi, nel mare. Lo ami il mare. Quasi tutti lo amano. Aspetta. Si, aspetta. Riflettici. Un momento. Chiudi gli occhi. E rispondi. Ami il mare, per davvero?

Quanta intensità, sforzi, tuffi, produci, in realtà, per concretizzare questo amore? E, dimmi, quando hai la fortuna di trovartelo lì, a pochi spruzzi da te, in autunno, quanti minuti trascorrono, nell’assaporarlo, da vicino, prima di stufartene e proseguire il tuo tempo, magari, a guardar le vetrine del centro?

Spesso è l’idea di qualcosa che ci fa innamorare. Non la cosa in sè.

L’idea di un tramonto. L’idea dell’amore. L’idea di tutto. Un videogioco, ecco cosa mi sembra, il vivere, talvolta. Un immenso videogioco nel quale, molto spesso, per non dire quasi sempre, mi pare di galleggiare, drogato di fotografie solo mentali. Dove quasi tutto è finto. Non vissuto. Non assaporato con intensità. Colmo di sole suggestioni di superficie, insipido vapore. Che annebbia. Mouse e clic. Avanti, c’è posto, sulla giostra dei sogni. Una proiezione, eco, della realtà. Se l’avvicini bene bene, la conchiglia, ci senti il mare.

Dimmi, ora. Sinceramente. Tu. Ami di più il mare o l’idea del mare? Non sono così certo, io, della risposta che darei.

A seguire una rotta

Bussola – © Ottobre 2006

È un rimescolio, di eventi di diversa natura, che, in questi giorni, mette in subbuglio il mio sistema digerente. Questione di rotte che si intersecano. Di botti e suggestioni che, in misura tanto massiccia, non sento di meritare. Sensibilità corrisposte. Immagini su immagini. Che mai smetto di fotografare. Per riviverle. Si, perchè, la mia paura, la mia unica vera paura, oltre all’idea di vedere soffrire chi mi è caro, è quella di attraversare situazioni importanti della vita senza che queste lascino un segno tangibile su di me. Per troppa fretta ed ingordigia. Ed il ritmo, di questi giorni, è così frenetico che pare una scorpacciata di ingredienti senza fine dove c’è un imbuto che fagocita ed un buco che espelle a ciclo continuo. Una catena di montaggio di percezioni, insomma, che, nel fluire, perdono il loro sapore nel sapore successivo. Sarà per questo che ho fatto il fotografo, per mestiere. Per fermare. Quando possibile. Gli attimi. Non basta.

Nella notte. Socchiudo gli occhi, per vedere meglio, lasciandomi sfiorare dagli spruzzi di grecale che mi entrano nelle vene. Vino che scorre. Un film. Il lavoro che prende nuove pieghe. L’idea di essere pronto. Sento la rotta. È già qualcosa. Nel balenare di episodi in bilico tra le probabilità e gli imprevisti. Collisioni. Di persone e vetture.

Decido di partire. Lungo l’autostrada è solo profumo di pioggia e concentrazione. Luci intermittenti e tergicristalli. Isoradio e cioccolatini. Cartelli stradali ed appuntamenti rimandati. Piadine e lambrusco. Pesce fritto ed una ballerina brasiliana che danza per dieci persone. Si torna in albergo, dopo una bella serata. Giro l’isolato. Siamo quasi arrivati. Cazzo, Mic, attentoooo. Guarda là. Crashhhhhh. Noooooooo. Ma porc. Scendo. Corro a vedere. Per fortuna, nessuno si è fatto male. A parte le auto e le loro lamiere tumefatte che segano l’umidità della notte di Cervia. In seguito carabinieri e ore di verbali e constatazioni quasi amichevoli e problemi da risolvere e ma chi l’aveva visto che da lì non si sarebbe dovuto girare? Tutto passa. Anche una notte a rivedere i se. Se fossi stato solo un po’ più attento.

Per due giorni, poi, a Rimini, solo stand per mostrare l’ultima carrellata di sogni in offerta speciale. E cravatte, accounting managers, allocations, gds, start up, booking on line, press rooms, strategie, sorrisi e strette di mano. Rispetto, molto, quest’Italia che lavora. Anch’io gioco al piccolo imprenditore. È una parentesi.

Dopo tre giorni in giro ritorno qui, a casa, per perdermi nel nulla, dentro una giornata di divano e decompressione, nella quale mi lascio andare ai ricordi. Provo una certa dose di nostalgia, per tutti quegli anni trascorsi sulle strade del mondo, a fotografare scorci di vite lontane dalla mia, allo scopo di nutrire il mercato dei sogni. Sono stato fortunato. A scegliermi sempre la professione. Ma non sono più sicuro che sia quello che voglio, dimostrare di farcela. Sto già pensando al prossimo lavoro. Il cuoco, ecco. Da grande, vorrei fare il cuoco. Né a casa né in viaggio. Fuori dal mondo, vorrei farlo. A ritmo lento. Su un’isola di spezie. Da amalgamare senza perderne il profumo. Nel silenzio, che penetra, timbrandoli, gli attimi che si susseguono, scandendone l’essenza.

Poi. Oltre questo lungo film, che è la vita che scorre attorno a me, è una cosa, che desidero. La stessa da sempre. Amare riamato. Il resto può attendere. Mi sento. Sono pronto. A seguire una rotta. Con sagacia conto i minuti che mancano. Alla partenza.

Fuori dai denti

Nicole by architetto serio, Paolo Palamà

Ho trovato questa biondina, nelle patatine. Sai, di quelle che, ne mangi una e, poi, succede, che ne hai voglia ancora, ancora, di un’altra. Come le chiacchere. Che riflettono intenti, necessità, piaceri di.

Condivivere le passioni.

Le tue e quelle di chi adori.

Perchè il bello è immedesimarvisici. Si si. Ci ci. Ro ro.

Con sorpresa.

Dentro il pacchetto.

Fuori dai denti.

E ti lecchi i baffi, poi.

Salpo

Mare – © Agosto 2006

Il mio porto sicuro è il mare, aperto.

Senza domande. Salpo.

Previsione dalle 12:00/utc di domani alle 00:00/utc del giorno 16/10: mar ligure: nordest 5 mare 3/nordest 5 mare 3/nordest 6 mare
4/nordest 5 mare 4.

Di sola essenza

Genova – Essenza di vita 1 – Settembre 2006

Annuso e.

Dalla mano

del tuo effluvio impregnata

estraggo

tutto quel

che mi importa

di te.

Alcune gocce

cadono

con fragore concentrato.

È del tuo essere

l’anima densa

che catturo.

Fragranza sedativa

che mi renderà

irresistibilmente me, noi.

Me ne profumo

e penso:

eccomi, a casa, di nuovo.

Essenza. Di sola essenza andrò placando l’irrequietezza dilatata dalla mia sete di.

Essenziale.

Genova – Essenza di vita 2 – Settembre 2006

Affondo

Affondo

Stucchevoli post e stucchevoli persone. Schermi buonisti o integralisti. Cuoricini e calzini. Fuffa, un mare di fuffa. Tanta voglia di uscire. Poca di scoprirsi. Gente che si lamenta di tutto. Dita nella marmellata e finti poeti. Luoghi del partito unico. Buonasera a tutti – scusate – starò via un giorno – mi mancherete. Neanche fosse un teatrino. Fatine insanguinate di nulla. Cazzofigaculotette. Mi piango addosso. Ma, come, sono una personcina così meravigliosa, possibile che non mi si fili nessuno? Voglio ma non posso. Ed allora cito, copio ed incollo. Formalità sotto spirito. Grigio su nero. Sbiaditi corteggiamenti da carnevale. Banali tramonti. Nessuna sorpresa. Note che interrompono altre note. Ninne nanne celebrali. Moralismi e permalosità. Rumore di ruggine. Sdolcinature ed incoraggiamenti reciproci che sanno di adulazione e compiacimenti, falsi. Falsa ironia. Vera sacrestia. Vanità, a ondate. Poca voglia di ridere di sè. Schiave e padroncini. Luridi maniaci. Anonimi inquisitori. Autocelebrazioni. Giostre di lucine intermittenti. Grigio, tanto grigio. Preghiere al buon dio. Oggi ho fatto, oggi ho visto, oggi mi sono messo le dita nel naso. Ascoltami che io non t’ascolto. Sogni di cartapesta. Volgarità a chili. Maschere di cristallo. La mia penna, quando lo specchio non mi restituisce l’anima.

Un mare di melma. Tutto questo, di me, dei blog e non solo, mi spappola l’esofago. Risucchiato da questo enorme bisogno di condivisione annego nel vacuo. A fondo affondo. Allora. La spada affondo. Tocco. Setaccio. Riemergo sollevato. Di leggere e scrivere sol quello che mi garba. Mi lavo i denti ed, intanto, ascolto “the end” in cerca di qualche atomo di incontaminata purezza. Di poesia. Rara bellezza. E guance rosse. Da godere. Senza nascondersi.

1,2,3. Liberi tutti.

E futbol gheim

Ueils – Bic – Sam iars ego

Ies, oò ies. Tunait ai ev pleid e veri uanderful soccher gheim uiv mai frends. Iu nou, ai em complitli satisfaid bicous aiv meid tri gols. Aniuei v gheim finiscd eit tu nain. Ui lost. So ai finc vet v most important finc is tu partsipeit end not tu uin (laic v uolf uiv v greip). Nau ai drinc e biir. E veri gud biir. End ai fil veri veri nais, singhin a song: camoon beibi, let mai faiar!

V moral: v laif is giast e futbol gheim end ai dont uont tu bi v bol. Anderstuud?

Opinioni di un clown

Autoritratto – 2006

Ci sono episodi che si ripetono con ciclica frequenza. Un tal Gianbattista ne parlò prima di me definendoli, in quanto prodotti dall’oscillante animo umano, corsi e ricorsi storici. Belin, se ne aveva di ragione, il tale! Che, sia pur riferito a meno nobili episodi, tal concetto io lo vedo tatuato sulla mia pelle, ieri come oggi, ogni qual volta mi metto in gioco, spogliandomi di ogni asperità e ripudiando le artiche e fruttifere tecniche di seduzione in favore di una disarmata sensibilità. Succede che, con scientifica ripetitività, me lo prendo nel culo, senza burro. In questi casi la rinascita non può che passare attraverso un’ espressione scorbutica che, allo specchio, tanto mi evoca quella di un personaggio del circo dell’esistenza. Conseguentemente, ridendo di me, mi commuvo.

Ascolta questo stupido, che sono. Dico a me stesso. Non rimanerci male. Sorriditi e ricordati sempre che tu, vecchio mic, domani, avrai, comunque, la fortuna di riprovarci ancora, a respirare. Sappi, inoltre, che l’allenamento aiuta ad accellerare i tempi di reazione ed a mitigare il disgusto. Solo, per piacere, ricordati di acquistare almeno un panetto di burro. Ed un etto, anche, di ironia.

Sono solo opinioni. Opinioni di un clown.

Post Scritto. Poi. Un uccellino mi sussurrò: fallo scivolare. Che, come minimo, ha un quadruplo senso, cotanta frase. Fu così che la becera autocommiserazione si trasformò in un ardito dialogo. A proposito della marca di burro più idonea alla scopo. Pardon, al fine. La scorrevolezza giustifica il mezzo. Ne scaturì che il Lurpak, noto prodotto danese, al pari delle aringhe e delle fiabe, si rivelò essere il più adatto per l’alto contenuto di sali che rivestono, nella digestione retroattiva del coso, un’importanza fondamentale. Chiusi gli occhi e cominciai a contare. Uno, due… A novanta rimasi immobile. Bruciato dal caldo di una temperatura prossima all’ebollizione dell’uovo. Sodo come le mie chiappe. E, come i calciatori sottodoccia sanno bene, quel numero è anche una posizione catartica nonchè retta. Come un angolo. Di visuale. Dalla quale, certi episodi, necessariamente, possono essere letti e rivisti sotto una diversa prospettiva. Ecco. Si. Fallo. Scivolare. Via. Il fallo. Lo feci. Con un’abile ed improvvisa mossa, degna di un Bruce, me ne andai via di lì. E mi ritrovai qui, non meno clown di prima, a declamare con baldanza: «Signore e signori, prego, vi prego, non accalcatevi. C’è posto per tutti. Su. Accomodatevi. Una ditata nel burro e via. Il retto è servito. Avanti un’altra. Occasione. Per ella si fanno sconti.».

Post Post Scritto. Mi fa male fare zapping in tv. Che, poi, mi suggestiono. Di pinocchi e grillini ne è già piena la vita. Ma vaa, vaa a dar via il cucù. Quello del nido, intendo.

Dichiarazione d’amore

Genova – Capo Santa Chiara – Settembre 2006

È una dichiarazione d’amore, a te, stasera.

Perchè mi piaci, da impazzire. Tu, amante un po’ troia, di impervia scaltrezza travestita. Tu amorevole moglie, di languide perle spogliata. Mi affascini, ogni giorno un po’ di più. E, affascinandomi, di tormentato scirocco, mi innondi. Sei la più bella. Di una bellezza che imbarazza. Infinita come il blu del tuo sguardo che avvolge. Oltremare. Gemma tra curve sdraiata. Impenetrabile a chi ti ha annusata solo distrattamente. Non chiedi di essere ammirata. No. Tu sorprendi, con femminilità, di superbia vestita. Offrendoti, roccia da degustare, ti scopro sempre diversa. Sempre uguale. Prospettiva dopo prospettiva. Random.

Da una vita, Genova, ti amo.