Soffia

Vorrei farmi vento, stanotte.

E partire con la mia vela bianca alla volta di stelle da esplorare con curiosa sensualità. Vorrei bordeggiare e non esser mai sicuro di quale baia sarà ad accogliermi. Vorrei amici e vino e un corpo da amare senza nulla chiedere.

Soffia.

Compimese, il passo del gambero ed il ragù delle emozioni 1 di 3

E’ trascorso un mese. Da quando presi in mano la tastiera per iniziare l’avventura di questo blog. Lo voglio festeggiare con amici e parenti. Come si festeggia un neonato che ha di fronte a se un lungo cammino. Nuova vita. Siete tutti invitati ed il menù della festa è a base di tagliatelle con il ragù alla bolognese e di gamberi saltati alla piastra. Il dolce lo portate voi però, eh!

GRAZIE a te che mi stai leggendo o sei qui a guardare solo le figure. A te che stai ascoltando il mio cuore. A te che stai ridendo delle mie fregnacce. Sono le mie idee. Sei il benvenuto se sei intenzionato a gustartele con calma. Per digerirle con piacere. Se prosegui, qua sotto, ti dico perchè.

Compimese, il passo del gambero ed il ragù delle emozioni 2 di 3

Le idee viaggiano ed il tempo le espande. Troppo velocemente. Ad un ritmo forsennato che mi priva sovente del piacere di gustarmele. Come se mangiassi un piatto di tagliatelle al ragù in 3 secondi.

Ci avviciniamo e ci allontaniamo. Ci annusiamo e ci offendiamo. Ci annoiamo e ci entusiasmiamo.

Spesso senza avere la percezione vera di ciò che proviamo. Per mancanza di tempo, per distrazione e non solo.

So bene che dico questo ora e domani cadrò, io per primo, nel vorticoso ritmo degli e-venti senza accorgermi di soffi, particolari che, solo apparentemente, non sembreranno degni di attenzione. Perchè accadrà che le suggestioni mi grandinaneranno addosso sommandosi una all’altra con frequenze ripetitive.

Ed io, che sono, come tutti, un animale terribilmente adattabile alle più disparate circostanze del pianeta, avrò poca voce per urlare STOP! Poca intelligenza per fare una pausa e soffermarmi un momento su. Meglio ancora, per fare il passo del gambero.

Si. Fare un passo indietro, come il gambero, è una tecnica che mi immaginai tempo addietro. Da adottare nei passi più congestionati della mia vita. Quando il ritmo si faceva impossibile e rischiavo di non godere dei trenini e dei sorrisi. Delle emozioni che questi avrebbero stimolato in me e che, probabilmete, mai più sarebbero tornate.

Quei momenti nei quali le immagini erano troppe e temevo di vomitarle tutte insieme senza aver avuto il piacere di digerirne almeno qualcuna con profonda intensità. Ecco che mi frenavo a riflettere. Ma non bastava. Ed allora tornavo indietro di una casella e mi fermavo per un turno. E, se pure c’era qualcosa di assolutamente urgente da realizzare, un bagno di folla ad attendermi, droghe dai mille colori ad ammaliarmi… io guardavo da un’altra parte. Non solo dicevo basta. No. Esageravo nella mia ribellione camminando, per l’appunto, all’indietro.

Per cercare di gustarmi, talvolta solo, talvolta in compagnia, i piaceri della vita.

Se hai avuto il coraggio di arrivare fin qui… con calma e con l’acquolina alla mente e, se ti va, qua sotto è la mia ricetta del ragù delle emozioni.

Compimese, il passo del gambero ed il ragù delle emozioni 3 di 3

Ci vorrà ancora un’oretta e mezza. Ho staccato il telefono e mi dedico esclusivamente al ragù delle emozioni.

Mescolare l’insieme degli elementi che, uniti tra di loro, danno senso all’esistenza. La profumano con gusto.

Innondare cucina e soggiorno con il profumo del ragù alla bolognese.

Gira che ti rimescola.. Impasta che ti ribolle…

Perchè mi piace.

Tagliare le cipolle fini fini fino a farle piangere.

Seguire con lo sguardo il filo d’olio che scende nella casseruola.

Sentire il ponf-bloc del tappo della bottiglia di vino.

Spaccare i pomidori tra le mani.

Cogliere il rosmarino e strizzarlo in giardino.

Scottarmi la lingua con la prima cucchiaiata di assaggio.

Lavarmi le mani impastate sotto l’acqua calda.

Accarezzare gli strati di pasta posati sul tavolo.

Lusingarmi della gola degli amici che fanno il bis.

Fare gulp.

Un segno

Ci sono state persone, idee, anche oggetti

che hanno lasciato un segno

nella mia vita.

Profonda conoscenza

stimoli e passioni

ancora vivi.

Ci sono stati e ci saranno segni

da cliccare sempre

per imparare ancora.

p.s. Non ho proprio voglia di andare a letto stanotte. Curioso dietro le vostre finestre e faccio toc toc sullo schermo del mio monitor. Ehi, c’è nessuno lì dentro?

O meu sonho

La scorsa estate l’ho trascorsa per una settimana a Ponza. Più precisamente al “Fieno”. E’ questo il nome della costa e della casa magica che domina il mare di fronte alla Palmarola. Un luogo svelato esclusivamente a pochi fortunati invitati dall’amico Antonio e raggiugibile solo dopo una lunga camminata attraverso ripide mulattiere. Un ex ricovero per animali le cui pareti sono impregnate delle poesie di Pessoa. Nel senso che le poesie sono scritte direttamente sui muri, oltre che sui tavoli, sulle piastrelle e quant’altro.

I blu sono il cielo ed il mare polarizzati del Mediterraneo.

I verdi sono la natura selvaggia dell’isola, addomesticata solo dalle generosi viti delle quali bevevamo il frutto.

Gli arancioni il sole.

Una dimora da sogno (infatti è soprannominata “O meu sonho”) i cui ornamenti raccontano tracce di vite trascorse a giocare e a lottare col mare. Tracce di amori travolgenti.

Respiro ancora i lunghi tramonti sospesi oltre un bicchiere di vino e ad un gruppo di amici incredibili. Senza filtri.

Respiro ancora la pace generata dagli incantati silenzi del cielo stellato passati ad ascoltare musica. Senza trepiede.

Respiro ancora gli scorci meravigliosi che catturavano i miei occhi inventando prospettive sempre sorprendenti nel divenire del tempo. Senza pellicola.

Non avevo con me, per la prima volta, una macchina fotografica.

Eppure ho scattato infinite immagini inquadrandole con due dita. Per impressionarle a lungo nel cuore. Solo nel cuore.

Se, ancora, sono un fotografo

Sono le 3 e 27. Sono al Mac (ovviamente). Sono a riflettere sulla fotografia. Sul perchè, dopo tanti anni trascorsi a fotografare in giro per il mondo per raccontare le mie emozioni in pellicola, in questi ultimi tempi sia svanito quasi del tutto il desiderio di scattare. Un desiderio che è stato a lungo una necessità morbosa. Che ho coltivato studiando e facendo l’assistente per trasformare l’amore per la fotografia nel mio lavoro. All’epoca mi nutrivo di pane e fotografia. Fu così che incominciai a realizzare reportage di viaggio per “Meridiani” e per molte altre riviste. Mi piaceva da morire. Il primo lo feci in Irlanda.

Col tempo credo di aver creato non meno di 50.000 immagini. Io ero le mie immagini. Le belle e le brutte. E mi entusiasmavo ogni volta che queste venivano pubblicate. Pensavo alle molte persone che, in luoghi diversi, si sarebbero emozionate ne percepire il frutto del mio lavoro stampato in quadricromia. Ero un fotografo.

Poi… è iniziata l’era del digitale ed ho cominciato ad avere nostalgia dell’iposolfito di sodio, delle pellicole caricate a raffica, delle attese in laboratorio. Trepidanti attese.

Poi… non trovavo più stimoli, non desiderio di ricerca, non sorpresa.

Poi… mi sono accorto di costruire principalmente immagini “carine“. Troppo carine per seguire le indicazioni dei vari picture-editor.

Poi…

Poi…

Poi…

Poi… mi sono appassionato a nuovi orizzonti.

Oggi sento una nuova e piccola fiamma che mi arde dentro. Un ancora acerbo desiderio di riprendere le mie macchine tra le mani. Agguantare un trepiede ed uscire. Per strada, per volti, per mare. Per mettermi alla prova e, come un qualsiasi neofita, inquadrare. Inquadrarmi. Vedere. Se un po’ di quella bramosa perversione fotografica che mi sorprese quando acquistai la mia prima reflex, una Fujica 705W, è rimasta sulla punta del mio indice. Per comprendere. Sopra tutto. Se, ancora, sono un fotografo.

Dell’amicizia

Potrei scrivere dell’amicizia.

Potrei. Di Luca, di Michela, di Stefano, di Nayla, di Adriano, di Seba, di Monica, di Tommaso e Giacomo, si Gianmarco e Rosalba, di Nati, di Roberta, di Ale, di Angela, di Anto, di Pietro, di Edita, di Filippo, di Francesca, di Federica. Potrei… ma credo di non esserne veramente capace. Temo che cadrei facilmente nell’ovvio e questo proprio non mi va.

Eppure mi piace, mi piacerebbe, lasciare un segno indelebile. Su questa pagina. Qualcosa che parli dell’amicizia. Di coloro ai quali voglio bene e che, credo, mi vogliono bene. Oltre ogni secondo fine e per il solo gusto di stare insieme ed essere sempre pronti ad ascoltarsi.

Lo vedi, Mik?

• Hai ragione. Sto già cadendo nell’ovvio… E’ meglio se la smetto.

Provaci, ma impegnati di più.

• No, dai, meglio evitare.

E fai uno sforzo, ovvia! Puoi farcela.

• Macchè.

E, allora, cerca una tua foto, tra le mille e mille. Un qualcosa che, meglio delle parole, possa rappresentare l’idea dell’amicizia.

• Ehi, ma mica devo scriverne per forza. Ma chi sei tu che mi parli? La mia coscienza scribacchina?

Bravo, finalmente l’hai capito. Possibile che la tua creatività sia sotto i tacchi quest’oggi?

• No, è che…

Che cosa?

• Beh, insomma, è il rum che ho bevuto dopo pranzo con Luca… fortino. Mi ha dato leggermente alla testa.

Ti trema la tastiera, infatti.

• Si, però ci voleva…, un bicchierino in compagnia, dopo l’abbuffata.

Quale abbufata?

• Piatto unico: sublime filetto ai porcini. E neanche me l’aspettavo. L’invito per pranzo è arrivato all’una per l’una e un quarto.

Mhhhhhhhh.

• Una doccia, barba, un po’ di deodorante ascellare e via. Sono salito di un piano per andare a pranzo con i miei amici.

Cos’hai portato?

• Una bottiglia di Merlot. Ho percorso 24 gradini e… era tanto che non vedevo Luca. Nonostante suo fratello sia mio vicino di casa.

Ti ha fatto molto piacere.

• Ma che domande. Ovvio. Mi sono emozionato per quel filetto.

Tutto qui?

• Dai, certo che no. E’ stato magnifico trascorrere qualche ora senza pensieri per il solo gusto di stare insieme e ridere come matto alle battute di Luca. Ricordare insieme a lui quando scuffiavamo in barca a vela. Quando eravamo preoccupati per la sua salute. Quando ballavamo come matti fino alle tre di mattina. Quando.

Vedi?

• Vedi cosa?

Dico, vedi che ne stai parlando di amicizia. Quasi senza volerlo.

• Si. Hai ragione. Ora ho capito qualcosa di più.

Cioè?

• Cioè che l’amicizia è una di quelle cose per le quali contano molto più i fatti che non le parole. I sorrisi grassi che non gli inchini. L’abbraccio piuttosto che.

Appunto.

• Me lo appunto.