Lava che circola

Io ho un sogno, di immagini edificato. Metto a fuoco. É vero, come chi mi conosce bene dice, che io sono uso a vivere le faccende della vita per immagini. Siano esse realmente catturate attraverso il mio sguardo, siano esse inventate. Comunque progettate e proiettate nel luogo magico del mio camino. Dove tutto nasce. Del quale, ogni giorno, alimento la fiamma, con imprevedibili ceppi di fantasia.

Mi fido poco delle parole. A meno che queste non giungano a me come fotografie.

Ogni giorno mi addentro, con la curiosità di un bimbo, alla ricerca di percezioni. Mi avventuro per la selva oscura, portando sulle spalle una cesta da riempire. Che la diritta via, spesso, è smarrita. Mi immergo alla ricerca di stimoli. Come un pescatore, nella notte, a caccia di prede sotto la superficie del mare, calo nell’invisibile nero, il mio amo re stando in pacifica attesa. Un raggio di luce, anche uno solo, mi basta per rientrare al rifugio della mia anima con un sorriso grande ed un tronco da farmi ardere. Lingue di luce nel buio.

Sono un artista. Un emotional vampire. Un bambino immaturo. Lo so. E so anche che posso fare male. A me stesso, certo. Ma anche e sopratutto a chi si fida e si fiderà dei miei occhi.

Ho un sogno, si. Da svelare. Mi svelo. Lo voglio fare. Si. Ho questa necessità, ora. Di vomitare su questo foglio invisibile le mie paure per trasformarle in forza. Nuova forza. Per costruire il mio sogno. Il mio grande sogno. Batto il pugno sulla scrivania e mi specchio nelle parole che sto scrivendo. Parole urlate che vorrei rimboambaserro, col fragore di un vulcano, nelle orecchie di chi ha la pazienza di ascoltarmi.

Come nei momenti più intensi della mia vita, alzo il volume della musica a rischio vicini di casa. Che mi viene da ballare per mollare gli ormeggi, al tramonto. Ballo da solo. Il mio corpo non può essere separato dalla mente. No. Non quando ballo. Quando ballo volo. Mi lascio andare al ritmo dei Supertramp. E’ “Fools Overture” a trascinarmi in questo schioccare di note in crescendo. Anima e corpo si saldano alla temperatura di oltre 1000 gradi.

Lo so, lo so già. Che in questi momenti potrei scrivere per ore. Il blog è una canna. Una canna fumaria per amplificare la forza della mia costruzione. Senza distrarmi chiudo tutti i canali inattivi. Mi accendo. Solo scintille, solo scintille. Voglio evaporare nella mia stanza, rigenerarmi dal caldo di emozoni delicatamente fragorose. Solo fuoco, solo fuoco. Voglio bruciare gli ostacoli, arderli della mia passione, lungo il precorso che viaggerà tra rocce gelide ed affilate. Solo lava lava. Voglio bucare lo schermo, attraversarlo. Attraversare i binari dell’internet che trasportano le mie vibrazioni sotto forma di energia. E raggiungere te. Per bruciarti del mio bruciare. Guarda in alto. Non li senti i lapilli? E, se non li senti, che importa? Importante è che io ci abbia provato, con tutto me stesso, a complottare con l’universo.

Bevo acqua, acqua liscia, per calmarmi. Non serve. I miei piedi battono il ritmo sempre più sintonizzati con le mie idee. Rock come fuoco.

Cambio musica. The The: I’ve been waitin’ for tomorrow. Mi guardo in giro e vedo gli oggetti sciogliersi. Dalì. Vedo immagini. Vedo te. Vedo. Vivo.

Contano solo le emozioni. Shake. Vivo delle emozioni del divenire. Uaouhhhh. Niente fumo. Solo immagini. Calde proiezioni di mani che si parlano e menti che si scopano.

Nel buio più profondo, di un’eruzione, ne percepisci al meglio la grandezza. Viaaa dal rumore dei neon artificiali. Soffio via le nubi, i pensieri, i filtri. Affinchè, a qualsiasi distanza, tu possa percepire le sfumature, anche le più nascoste, delle mie emozioni. La similitudine, che mi scorre davanti agli occhi, è fin troppo ovvia, per un marinaio quale sono: tutte le notti trascorse in mare nelle quali la barca a vela navigava diretta verso le braccia aperte di un porto. A guidarmi era, sopra tutto, il fascio amico di un faro dalla portata lontana. Colate di sicurezza nell’indistinguibile confine mare-terra-cielo. Luce attraente nelle notti più limpide. Così vorrei sentirmi io.

Rallento la mia corsa. Devo nutrirmi. Nutrire il caminetto che la brace mi appare appena smorzata. Appena. Stacco, ma per poco, la mia scrittura di getto. Mi addentro, nuovamente, nella selva delle percezioni, in cerca di. Passa un’ora. Poi…

Cazzo, ora si, mi sento veramente vulcanico. Perchè io ho un sogno, che vive. Ed il sogno si fonde in un’immagine fatta di mille immagini. É bello sentirsi lava che circola. Nelle vene.

L’equilibrista, la dottoressa dell’immaginario ed i cioccolatini al peperoncino

Due anni due! Di astinenza. Così mi ordinò un mercoledì di qualche tempo fa la mia dottoressa dell’immaginario. Di fronte a lei era tristemente accartocciata l’ennesima scatola, assurdamente vuota, di cioccolatini al peperoncino dagli effetti desiderati.

Ella si alzò di scatto. Mi fissò per un ventesimo di secondo. E, con calma perentoria mi disse, dall’alto del suo sguardo impertinente: “Basta! Troppi cioccolatini. Ne hai mangiati davvero un’enormità, mio caro poco paziente!”. Ed aggiunse: “Così proprio non può andare avanti, io ho paura, veramente paura, per la tua salute. Hai esagerato con queste dosi industriali di droghe fatalmente inebrianti. Ti fanno male. Lo sai. Lo sai benissimo che, poi, gli effetti collaterali sono devastanti per il tuo precario stato sospeso. Tu ne sei attratto come per mistero. Due anni due! Di astinenza. Poi vedremo. Questo è il tutto.”.

A quel tempo io ero un equilibrista e lavoravo per il circo del sole. Il mio attrezzo era una fune, la mia sola ed unica amica. Bimbi e grandi inventavano per me espressioni di sopresa ogni qual volta mi esibivo dall’alto di 30 metri di sopraelevata fantasia. Guardavo il mondo da una pospettiva necessariamente superiore. E godevo di ciò. Provavo gola, profonda attrazione verso il profumo delle molte e provocanti emozioni che volteggiavano nel vuoto che mi circondava. Lo percepivo nell’aria, richiamo sireniaco, quel profumo generato da mille farfalle di sfavillanti colori. Con vertigine resistevo, tutto il tempo dello show. Le mie braccia, che agli spettatori apparivano aperte e sicure in leonardiana posa, in realtà non facevano altro che tentare di acchiappare qualche scampolo di brivido alare. Mi sentivo farfalla anch’io, ma senza ali. Avevo solo voglia di volare. E partorire sorrisi nel mio pubblico ansioso di vita librata. Durante quel tempo, a sostenermi era solo l’attrazione tra i desideri sfiorati dalle estremità delle mie dita in opposta direzione. Con fantasia la mia bussola segnava un nord sempre diverso.

Fremevo, sull’orlo del precipizio, nell’esaltante ricerca dei limiti. Della natura umana e della fune che mi reggeva, tesa come una scotta con 30 nodi di tramontana. Vibravo per tutti i 30 minuti dello spettacolo e la gente applaudiva, eccome se applaudiva. Una selva di battiti. Che quasi mi stordivo. Che quasi mi sentivo un dio. Che poi il numero terminava. Salutavo e mi congedavo. Mi svestivo dei panni dell’artista e mi ritrovavo nudo, immerso in un vuoto ancora maggiore. Per ciò mi tuffavo nell’amaro piccante di qualche dozzina di cioccolatini al peperoncino per sublimare l’assenza di farfalle nella pancia. Ingredienti principali di quelle illusioni di benessere erano il cacao ed il peperoncino. Uno importato dalle terre carioca e l’altro di più vicina provenienza. Sostanze dallo stupefacente potere di ubriacare la mente e scagliare i pensieri fuori dalle rotte della razionalità. Ne mangiavo a scatolate, ne succhiavo morbosamente l’essenza intensa, non ne potevo più fare a meno. Ero arrivato a scartarne ed a ingoiarne anche 30 alla volta.

Fu allora che decisi, affatto per caso, di consultare la dottoresa dell’immaginario che, immediatamente, diagnosticò molto bene questa mia dipendenza avvertendomi che, prima o poi, sarei caduto dalla fune. Se avessi continuato nella mia delirante ricerca di altalenanti estremi. Calore e ghiacciato mistero. Accadde. Quel mercoledì. Quel benedetto mercoledì la mia vita cambiò. Con bellezza non apparente mi innamorai di lei, si, della mia dottoressa dell’immaginario, ed i suoi baci riempirono con equilibrio il mio inguaribile desiderio di cioccolatini al peperoncino. Il vuoto si chiuse alle spalle, per sempre. Da quel giorno svanì anche la mia disperata ricerca di farfalle. Queste comparvero presto, variegate come lentiggini, nella mia pancia. Che più alcun giudizio glaciale me le avrebbe strappate via. Salde ali nella mia follia vincente.

Si può sempre vincere, nella vita, se vincere significa costruire ed amare i propri sogni, con fantasia. Fino a desiderarli così intensamente da diventare noi, immedesimandocisi, i sogni stessi. Per davvero.

Dolce è l’approdo al capo di Santa Chiara

E poi, la sera, al tramonto, si rientra a casa. Dolce è l’approdo al capo di Santa Chiara. A ritemprare di calde parole il riposo del pescatore guerriero che, l’indomani, l’attende un’altra sfida. Col mare. Che tanto gli donò e qualcosa gli tolse. Lavoro, lavoro. Il lavoro è un’arma a doppio taglio, come il mare. Il lavoro è passione ed appagamento, una sfida per dimostrarsi. Il lavoro raffredda le emozioni più pure per distillarle in spietata minestra di marketing, una sfida per dimostrare. Che i frutti si vedranno col tempo. Se il tempo non avrà già ammazzato i sogni. Ma non ci si può condire la pastasciutta, coi sogni. E pagarci le rate del sole. Allora bisogna far battaglie contro le correnti avverse pur di rispettare le scadenze. E, poi, dipanare la rete dai dubbi e svuotare il pescato nelle casse della sopravvivenza. Asciugare, al rientro, le gocce di freddo sale dalla fronte e fare nuovo carburante. Pronti, a ripartire, l’indomani. Con nuove ansie ed innato entusiasmo. Come sempre. Da capo.

Ora che hai scritto la tua fregnaccia quotidiana, ecco, bravo mic, torna a lavorare. Che ancora verrà la festa del ringraziamento. Balla pure di arancio vestito e beviti una pinta di scura al bar del tramonto ma non dimenticarti che, dopo il sonno, sarà un’altra alba, di fuoco. Di amore et odio con l’eterno dualismo del mare. Con grinta, go!

É ora di salpare

Lunedì.

É ora di salpare, nuovamente.

Tantissime cose da fare mi stanno scrutando, in attesa.

Che ci sono momenti nei quali è necessario tirar fuori gli attributi. Forza!

Che le reti calate per tempo non siano state tessute invano.

Che la pesca sia quasi miracolosa.

Concentrazione, impegno, responsabilità.

Il ritmo è nelle mani



Il ritmo è lento.

Il ritmo è veloce.

Il ritmo è nella mia comunicazione.



Il ritmo è contatto.

Il ritmo è appassionarsi.

Il ritmo è nelle mie idee.



Il ritmo è vibrazione.

Il ritmo è energia non compressa.

Il ritmo è le mie dita sulla tastiera.



Il ritmo è nelle cose.

Il ritmo è semplice semplice.

Il ritmo è nelle mie emozioni.



Il ritmo è Stewart Copeland.

Il ritmo è Every breath you take.

Il ritmo saranno i tuoi orgasmi con tamburi.

Fremono le mani dal desiderio di stringerti e palpitare il mio sesso dentro di te.

Oscillazione di note a volume 100, stanotte.

Rompere il ghiaccio, collage di intenti positivi

Intanto ci metto la foto, più tardi scriverò il testo che, confuso e straripante, sta palleggiando già da alcuni giorni tra Ernesto ed Evaristo, due neuroni in fuga intrappolati nella mia cabeza pelada. Insomma, sarà un altro post in divenire. Pallottole fluttuanti e fulminanti da spappolare su questo schermo di luce. Ma adesso STOP. É l’ora del tiggì della sera. Una qualsiasi sera italiana a bordo della mia astronave ? che viaggia, 20.000 leghe sotto i mari, alla perenne esplorazione del nonsochecos’èmasochec’è. Vado. Vai? A sproposito, è pronto il rancioo? Tortellini, mi sa che mi cucinerò un bel piatto di tortellini per cena. Li succhierò, uno ad uno, famelicamente goduto e poi, si si, poi me la monto. Una bella confezione di panna sormontata da tanto zucchero a velo. Stasera ho proprio voglia di trattarmi bene. Come ieri e l’altro ieri e non continuo. STOOOOP avevo detto STOP! Ma le dita scorrono, naturalmente, come flut di ciampagn ad una festa di domanimisposo. Che mica riesco a frenarle. Eppure ci provo. Eccome! Per concludere questa prefazione, eh si, mica è altro ‘sta cozzaglia di parole, voglio dire che mi devo concentrare, un po’ di più, per trovare il centro. Il centro del discorso, è chiaro. Perchè altrimenti è solo entropia vocabolare. Quanto scritto fin’ora, diciamolo, era solo per rompere il ghiaccio. Più tardi, se la panna montata non avrà otturato i tubicini del mio sistema idee-tastiera-pubblicapost, allora il gioco si farà duro, che solo i duri incominceranno a sciogliersi. Eppoi dicono che sono prolisso… A dopo.

Ecco il dopo, 5 ore dopo. Anche se mi ritrovo meno brillante di come mi sentivo nello scrivere la premessa, il prima. Comunque, sarà la vagonata di panna, sarà il sonno, sarà che ho letto troppo dolore sulle pagine dei vostri blog…, insomma, sarà per diversi motivi che, ora, ho meno voglia di sparpagliare lettere d’alfabeto su questo quadretto che, nelle mie intenzioni, voleva essere un affresco di intenti positivi al solo ed umile scopo di salvare il mondo. Dalle inutili sofferenze della mente. Quelle di cui si potrebbe facilmente fare a meno, intendo. Si, insomma, avrei desiderato scribacchiare della fantasia, dell’unicità e della sensibilità nell’ironia, armi che, se utilizzate in simultanea, hanno strapoteri alle volte sorprendentemente efficaci al fine di sconfiggere quello spesso strato di ghiaccio che ricopre il cuore e lo rende decisamente poco pulsante di attimi vissuti “per davvero”. Avrei voluto rompere il ghiaccio, io per primo. Salire sul palcoscenico ed improvvisare uno spettacolino nel quale avrei recitato me stesso senza suppellettili. Avrei gettato al vento del mai più la maschera di miraccontodiessereunogiusto ed avrei, finalmente, navigato nelle viscere dei miei desideri. Si. Per lasciare un segno, un solco profondo dal quale estrarre nuova luce per illuminare a giorno le mie paure ed appenderle alla forca delle giustificazioni.

Ma è tardi, almeno per oggi, è troppo tardi per immergermi tanto profondamente nella spugna di me stesso e, dribblando i miei doveri di serio ed onesto lavoratore delle fotografie, costruire carezze e schiaffi da offrire, in promozione per nulla speciale, agli abitanti di questa casetta di pixel. Primo fra tutti, io. Il mio primo lettore. Che non me ne perdo una, delle fregnacce che scribacchio, per capirmi anche a distanza di settimane. Allora mi fermo qui, solo il tempo di una parentesi. Che domani o dopo vedrò di chiudere.

Mi accomiato con un mojito inventato tra le dita. Anzi due. Iniziamo col rompere il ghiaccio. Si, dico a te, amico che sei davanti al monitor. Proprio a te, amica fedele. Ti va di rompere il ghiaccio e scoprire la succulenta dolcezza che è in te? Insieme. Inizio io, a scoprire il nucleo. Riscaldiamoci. Ce n’è tanto bisogno, sai. E, in fondo, non è poi così difficile se già stai assaporando il fresco della menta del mojito che ti sto allungando. Lo senti? Come ti senti? Io benone, un po’ assonnato ma benone. Grazie. Nell’acqua della chiara fontana lei tutta nuda si bagnava….. Le ultime note di questa notte italiana sono dell’amico Faber. Dicono, le previsioni odierne, che arriverà presto il freddo, pungente come ghiaccio, a gelare i viaggi motorizzati per i labirinti delle nostre anime. Io non ci credo. Ho voglia, tanta, di spezzare il gelo trasparente delle incomprensioni. Tanta di comprendermi. Per ubriacarci di vita. Senza lacrime. Per davvero.

Non so se, alla fine, l’ho trovato, il centro del discorso. So, però, che desidero, in questo preciso momento, più di ogni altra cosa, armarmi di fantasia, unicità e sensibilità nell’ironia, collage di intenti positivi. Le gradirei liscie. Grazie blogman. Magari ritorno.

– TO BE CONTINUED –

Pura vita

Noi tre, al cinema, questo pomeriggio, abbiamo visto “Oliver Twist”. Tutti abbracciati dalla paura. Poi kebab, pioggia e traffico, spiegazioni, luci appannate ad intermittenza, scale, a casa, telefonate, patatine e cioccolato, lego, carezze al micio, filmati stupidi al computer, risatissime, pigiami, salti sul letto, cuscinate, denti lavati, orsacchiotti, barzellette, sonno. É calma nella notte. Vi rimbocco il piumone che nessuno spirito cattivo possa farvi del male. Tranquilli. Dormite sogni tranquilli che io vi proteggerò, sempre, dai malvagi rapitori di Oliver.

Decido di fotografare al presente questo frammento di pura vita. I miei nipotini che, abbracciati, si dormono. Buonanotte tesori. Tra poco anche superzio verrà a nanna.

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La notte è trascorsa, di coccole e sogni a colori.

Alle 7 e 45 gli occhioni si sono aperti, con frastuono e meraviglia. Poi latte e cacao, cartone, doccia. Quindi è spuntata una nuova domenica di raggi di sole. Sunday Tenderly Sunday. Italian Sunday.