
Fratelli si diventa. Navigando su complici rotte parallele.
Fratelli si diventa. Navigando su complici rotte parallele.
È uno sporco lavoro, di parlare col mare, alla sera, con una caipirinha tra le dita ed alcune risposte sulla punta della lingua ma, porca paletta, qualcuno deve pur farlo.
Ieri sera, poi, ho lanciato una bottiglia di carezze, ad attraversare tutto l’oceano mediterraneo.
Ogni riferimento a Diane Arbus, una delle più grandi fotografe della storia, ed al film, Fur, sulla sua vita, interpretato da Nicole Kidman, non è casuale. Certe diversità attraggono, con dolcezza e possono arrivare ad affascinare i rivoli più misteriosi della nostra anima. Rivelarne qualcuno a sè stessi ed al mondo è un’ottima terapia contro il riccismo della vita moderna.
Hornet e via. Ora sono disteso sopra un asciugamano formato single e sto osservando le nubi che transitano sopra il mio naso. A parte i leprotti, i profili sioux e le solite silhouette di spermatozoi in libera uscita io ci vedo dei continenti. Si. Cumulonembi come grandi ammassi di rilievi galleggianti in un mare di cielo. Non so, sarà la musica di Giorge Winston che mi solletica i timpani o l’idea che sto per immergermi, sarà lo stato di rilassatezza totale che mi ha preso, fatto sta che i miei occhi giocano con le nuvole che, a loro volta, giocano a rincorrersi, isole e continenti e penisole che si scompongono e ricompongono in mosaici di fantasia. Ecco, le nuvole, ma cosa sono? Sogni d’acqua allo stato etereo? Mah. Poi viene l’ora, due o tre minuti dall’inizio dell’allucinazione, di calzare le mie pinne nuove di pacca, infilare maschera e boccaglio e, senza indugio, immergere il mio stato solido dentro quello liquido al fine si sperimentare nuove percezioni di pelle-accadueo.
Sono pronto. Uno, du… sono già immerso, brividi sulla pancia, pensieri che evaporano ed un corpo, il mio, che sposta una quantità di fluido notevole, determinando una spinta verso l’alto e, beh, insomma, io ed Archimede ci godiamo lo spettacolo dei pescetti che, a branchi, lambiscono lo stomaco e paiono affaccendati in tecniche da squadriglia a caccia. A proposito, non è che si annoieranno, ‘sti pesci, a stare tutto il giorno, lì, muti, a guardarsi a centottantagradi sperando che non arrivi un esemplare di maggiori dimensioni a berseli per aperitivo. O, in alternativa, qualche schifezza di pesticida umano o qualche amo non amo a fregare la loro ingenuità. Terminati questi pensieri microcosmici convengo tra me ed i miei desideri che è terminato il tempo di galleggiare. Stabilisco di diventare negativo: così si dice di un corpo che manda a cagare il buon Archimede e decide di fare glu glu, trattenendo il respiro ed effettuando una certa qual spinta dalla superfice dell’onda verso il fondale innestando il pinneggiamento in verticale. Ma guarda tu, penso, se proprio delle femmine, di recente pure, debbano essere state le artefici del mio coinvolgimento ed apprendimento subacqueo senza l’ausilio di mezzi meccanici. Vedasi bombole. A loro sorrido e, sorridendo, mi entra un filo d’acqua nella maschera. Sorrido e proseguo la mia discesa. In apnea. Due, tre, cinque, forse sette metri sotto il livello del mondo. Guardo un’ancora perduta e qualche castagnola blu neo nata, della dimensione di un decimo di unghia, e, quindi, questo l’ho imparato da solo, mi ricordo di un trucco che facilita di molto la nuotata sott’acqua: danzare come un ballerino di danza classica. Infatti comincio a librarmi, senza peso, facendo piroette e diverse capriole, mentre qualche sarago mi guarda tra il divertito e l’allibito. “Buffi che sono questi uomini” devono pensare le creature dotate di branchie ogni volta che appare un sedere in ammollo, sia esso dolcemente scolpito, sia esso un intersezione tra due parabordi rotondi. Scendo ancora un pelo. Che, come dice la rana, lo stomaco si rattrappisce e la negatività aumenta. Non troppo che il diaframma brontola, acciderbolina.
Beh, è ora di risalire. Lentamente. Rinascere, positivamente, dall’acqua all’aria. Ma quanto tempo è trascorso? Caspita, era da quando, ragazzino, mi tappavo il naso e affondavo la testa dentro una vasca da bagno a segnare improbabili record senza respiro, che non stavo sotto così tanto. Sarà passato un minuto buono. Forse ma forse. Importa il piacere, non la durata. Una, due, moltissime immersioni si susseguono. Senza sforzo, è questo il vero sballo. Sempre più calmo ed impermeabile ai pensieri del fuori, finisce che sto in mare quasi un’oretta prima di ritornare a riva per vedere se mi si sia stato fregato lo zainetto con tanto di musica portatile e documenti vari. Per fortuna è ancora tutto lì. Bene. Sto proprio bene. Rilassatissimo. Cuffiette, siga, pancia in sù, eghein. Ritornano le nuvole a far capolino. Che strano, ora, però. C’è una nube a forma di sorriso ed un altra a forma di braccio proteso. Mica mi vergogno, tra i bagnanti asciutti che mi circondano sugli scogli di Quinto, ad allungare braccio-mano e lanciarli in alto. Chiudo gli occhi, partono i Police, e mi pare di entrare nuovamente in apnea, col cielo. Quasi si accarezzano, le mani, a forma di nuvole. Poi piove, cazzo! Quasi quasi mi rituffo che, tanto, dentro il bagnato, mica può piovere. Al massimo gocciola. Vita, in assetto costante.
E Coraggio. Gli facciamo un culo così a quel bastardo. Il resto può aspettare anche cent’anni.
La follia armonica è
un filo di perle di vetro che tintinna nel sonno
quel che non è prevedibile
ciao amore ciao
parole perchè no a cazzo e senza virgole
una carezza che
un facciamo l’amore che
un ma chi siamo noi che
che non t’aspetti
una canzone che ti porta via
il suono di una vela nel frastuono di un mare in tempesta
la creazione di un sorriso dente dopo dente
l’odore di buono buono
quel qualcosa che non capisci dentro di te
la lentezza di un movimento
le farfalle anche quelle brutte
i pistacci colti sotto una pioggia di sole
il ghiaccio che si scioglie
la voglia di gridare con tutta la voce che hai
contare su un’altra persona
scommettere l’impossibile
credere possibile e riproducibile l’infinito
che non t’aspetti
che non t’aspetti
che non t’aspetti
ciao amore ciao
far crollare il pensiero da 10000 metri
raccogliere una parola schiacciata per strada
mettere un accento dove non si dovrebbe
credere in qualcosa
crederci anche quando tutto e tutti si fanno sberleffi di te
pescare le stelle con un amo di fantasia
tuffarsi senza paura dentro un bicchiere di acqua e zucchero
approdare in un’isola che non sai perchè
disegnare un castello sulla battigia
e l’onda se lo mangerà
lo sai ma lo fai
questo e altro è la follia armonica
farlo perchè ti va
senza pensare alle conseguenze
e mandare a fan culo gli assiomi
ed i pensieri deboli e le aspettative e
e poi
poi cullarsi una notte intera
dentro un sogno
che non finirà perchè nessuno potrà ucciderlo per davvero
perchè è senza confini e
sempre
sempre
risorgerà
dalla sua cenere di ingenua ed impalpabile materia
la materia frutto della follia armonica
che nutre
mi nutre
e
ho un oceano di desideri
voglia di creare
voglia di vedere poesia anche là dove non c’è
sempre voglia imprevedibilmente voglia
di pescare le stelle anche quando è nuvolo
con armonica follia
ed un filo solo un filo di disprezzo per chi non resta
così
Ah. E così dicono alla tivù di aver avvistato un pesce cane nel trapanese? Maddai, vorrai mica crederci e, poi, se proprio fosse, deve sapere, il simpaticone, che noi siamo campioni zonali di solletico e, se s’avvicina, lo facciamo anche a lui. Mica abbiamo paura. Nu nuuu. Noi no. Siamo pronti. A tutto.
Perchè, vedi, anzi, meglio, tocca, si, tocca qui, la mia è pelle di balena corredata da denti di tricheco, ornata da manibranchie di capone ubriaco e dotata di occhi da murena.
Mai me n’ero accorto prima. Poi, quel giorno, ho trovato, là sotto, dentro quel relitto affondato, uno specchio e mi ci sono riflesso. Ho capito che dovevo farmene una ragione, del mio aspetto bislacco. Che una principessa del mare dalle cinque punte mi avrebbe, prima o poi, sorriso, un po’ divertita da questo scherzo dei fondali, molto sorpresa dalla dolcezza con la quale le mie manibranchie percorrevano audacemente i suoi pedicelli. E mai, mai era accaduto prima. Mai in quel modo, almeno.
Poi spuntò bernardo, bernardo l’eremita, da una tana tra le rocce sommerse, e, bonfocchiando tra sè e noi, se ne uscì con quella massima: «meglio un giorno da sub che cento da ombrellone». Ridemmo a perdita d’occhio ed incrociammo i nostri corpi più stretti che potemmo. Talmente stretti che ne uscì una nuova specie mai vista prima. Una creatura nuova, figlia del blu. Bernardo rise anche lui e, tornandosene al suo eremo, sancì una seconda massima: «meglio viversi un giorno che incontrarsi mai. Io vi dichiaro eterna empatia. Potete solleticarvi, ora pro maris, finchè amo non vi separi».
C’è amore. Nel mare. Vieni, con me. Veniamo, con noi, dedicando una pernacchia ai pesci cane che, poi, a ben nuotare, sono splendidi anche loro. Basta saperli solleticare. Per ora solletichiamoci noi. E cerchiamo le patate di mare, spugnose e nutrienti. In genere stanno accanto alla tana del polpo. U purpu, si, quello che abbraccia come te.
Tu, una sorpresa che trovai un giorno, non troppo lontano, in quell’isola. Com’è che si chiama più? Ah, si, si, ecco: Rapa Nui [27° 07′ S – 109° 22′ W]. Pacifico, no?
Ci si rivede lì, allora. Mi raccomando, puntuale, alle meno un quarto di presto. Con amenità.
Ci sono luoghi magici dove è subito casa tua. E persone che saltano le apparenze. E cani curiosi. E la storia che continua. In questo è il senso. Sensato, credo. Mica luoghi comuni.
Grazie, Valeria.
È passata solo qualche ora da quando hai respirato il tuo primo soffio di mondo e già mi sono innamorato di te, mia piccola nipotina. Sempre ti accoglierò, Ginevra, risplendente tra gli Elfi.
È solo l’alba. Alba in libertà. Nient’altro che una calorosa alba da iniziare a piccoli passi, da passeggiare su una trave ma senza traveggole. Che, poi, a passi ondivaghi, per via del gintonic, ci si avventuri dentro un’apnea di esplorazioni, è la naturale conseguenza. Apnea, si, addirittura. Ma dai, porca paletta. Vuoi mica dire che ci stiamo pigliando sul serio? Sia mai. Ed allora tratteniamo il respiro. Si, proprio quello del mare, dentrissimo al mare, dove le stelle le cogli a mani nude. Me ne passi una e sorridi, da dentro la tua maschera e boccaglio. Poi mi balli attorno ed io, stupito come mai, sorseggio scampoli di bellezza vera. Un altro tuffo nel blu ed un altro gintonic, per piacere. Ma mi faccia il piacere, signorina stella! Mi tenga. La tengo. Teniamoci. Atteniamoci ai sogni. Fatto? Bene, allora prenda una quantità q.b. di colla vinilica e la spalmi a quattro mani che magari la prima non basta. Fatto? Piace? Bene.
Intanto il sole si alza e percorre tutto il suo arco attorno all’orizzonte. O viceversa. Ma che importa? Importa che noi stiamo nel centro. A piedi e baci nudi. È. È splenderrimo.