Di tango, di kebap e di sesso

E d’acqua © 2007

Di tango, di kebap e di sesso (racconto semiserio scribacchiato oggi al posto di lavorare).

Atto primo. Casa. Camere e voci che si comunicano e gatti che rincorrono.

– Ti va?

– Mi va.

– Miilonga, si. Stasera alle otto. Tango e follia.

– Bello.

– Bella, tu.

– Prepariamoci. Preparati. Via quella felpa agli antipodi. Via quegli anfibi. Via quell’espressione da centaura sempre in viaggio.

– E tu… Si, tu. Via quelle scarpe da ginnastica e quella pancetta da ragionatore. E via quell’odore di tabacco e vento.

– Ah, ok. Ci sto. Per una sera ci sta. Di prendersi sul serio per gioco. Per una sera niente scatti e risate di ombelico. Si.

– Ma a chi la racconti? Sai già che. Che ci crolleremo addosso di alcool e sudore. Facciamolo almeno con classe. Stasera.

– Classe, ecco. Hai ragione. È la parola giusta. A proposito, che ne dici della piega dei miei pantaloni neri?

– Niente male. Senti. E tu che cosa pensi del mio decoltè? E della scarpina? E dell’orecchino? E?

– Troppa cipria.

– Hai ragione. Rossetto e nocciolato, allora. E vualà, la pettinatura raccolta risolve alla grande. Non dici?

– Dico di si. Andiamo, ora.

Atto secondo. Tacco e tarocchi. Pavimento di parquet, liscio e graffiato. Come una lastra d’acqua incisa dalle passioni che vi scorrono sopra. La sala è un bijoux. Di talco e di sete. Di fisarmonica e lumini.

– Afferrami.

– Si. Cacchio, ci provo. Balli bene, tu. Ma dove hai imparato? O hai vissuto in Argentina?

– Accerchiami.

– Sento il ritmo. Piano. Scorrermi. Ferma, tu. Al centro dei passi.

– Stringimi.

– Le mie mani lo fanno. Alla vita. Con vita. Inizio, sai? Inizio a ballarti.

– Accoccolami.

– Bella, come sei bella!

– Volami.

– Ti volo e volo anch’io. Mi lascio andare. Di lievito e fuoco.

– Appassionami.

– Le mie labbra. Le tue.

– Incrociami.

– Stinco-stinco. Polso-polso. Rotula-rotula. Siamo cerchi che si chiudono. Ciao, eh.

– Incastrami, ora. Stai imparando. Bravo. Mi piaci. Lo sai che mi piaci, vero?

– Si. Tu di più.

– Non lasciarmi. Non lasciarmi mai.

– Io ti sorrido.

– Tu mi sorridi.

– Fuoco fuori, alimentato da sudori e concentrati sguardi.

– Fuoco dentro, alimentato di noi e dal sapore di ricci appena schiusi al sole.

– Non ti lascerò.

– Ti.

– Ti.

Atto terzo. Vestiti slacciati. Scarpe in mano. E via per le strade della città dormiente, a cercare un venditore turco di kebap. Bottega nei vicoli.

– Trovato! Corriamo.

– Che vista che hai! Brava!

– Due, piccanti, per favore, con tzatziki ed insalata.

– Ed anche due birre, del diavolo. Grazie. Quanto?

– No. Tu stasera lascia stare. Dopo il ballo ora tocca a me dirigere il gioco.

– Maaa.

– Zitto.

– Non insisto. Grazie.

– Nessun grazie.

– Ora non ti arrabbiare, eh, neanche per finta.

– Scherzi? Con te?

– Prendi il sacchetto ed andiamo, subito.

– Agli ordini, capa.

– Guido io la hornet e tu dietro.

– Non sgommare, almeno. E rallenta che mi voglio accendere una siga.

– Viaaaaaaaaaa.

Atto quarto. Battigia e risacca di onde. Braccia caracollanti e volti lievemente ondivaghi. Un molo nascosto. Un soffitto di costellazioni ed un gozzo per materasso.

– Che angolo!

– Ti piace, questo nascondiglio?

– Si. Hai scelto un’ottimo posto per mangiarci il kebap. Davvero. Odore di vernice ed alghe.

– 🙂

– Sicura che non ci vede nessuno?

– Sicura.

– Prendo il mio. Ecco il tuo. Lo sapevi che il kebap mi eccita? Vero? Dì che lo sapevi.

– Ehm, no. Cioè. Forse. Lo intuivo, dal momento che quella volta che mi sono cosparsa di cippollotti di tropea sei letteralmente impazzito di piacere.

– Cazzo. Sei davvero una donna al peperoncino.

– Scivolato lo tzatziki.

– Hai fatto apposta?

– Si.

– Ecco, un pomodoro sulla tua camicia di lino. Così devi levartela.

– Ci sto. Mi piace leccarti la carne.

– Chiudi gli occhi ed immagina.

– Si. Cosa debbo immaginare?

– La lama d’acciao che taglia, accarezzandola, la corteccia del vitello che gira sullo spiedo. Strati a formare un cilindro.

– Come noi, ora.

– Bravo. Come un tango di corpi speziati. Mi capisci. Tu riesci a percepirmi naturalmente. Entrami.

– Balliamo?

– Si. Siamo circolari e rotoliamo.

– È un vortice. Pane arabo, origano, peperoncino, cumino, coriandolo, aneto e grassi sciolti ci solleticano la pelle. Li senti?

– Si, tesoro, li sento tutti, i sapori di noi. E…

– E?

– E sai che c’è?

– Sussurramelo, ora, bella che sei.

– C’è che noi ci sorprendiamo sempre.

– È vero.

– Sarà mica perchè siamo cartoni animati d’acqua e di follia?

– Cerchi che si rigenerano d’infinito vorrai dire.

– Si, amore.

29 Replies to “Di tango, di kebap e di sesso”

  1. Mi piace pensare che sei passato sotto casa mia…

    Mi piace pensare che le voci sorridenti che sono salite fino alla mia finestra erano le vostre…

    Mi piace pensare che il negozietto del kebab è lo stesso dove vado ogni tanto io…

    Sorrido all’idea dei cibi sul corpo ( è uno dei modi migliori per gustare frammenti di vita)

    Leggerti è stato quasi vivere un deja-vue, non lo stesso luogo, non lo stesso cibo, naturalmente non le stesse persone, neppure lo stesso tempo, ma una danza, due corpi, due sorrisi, e la pelle come piatto…

    È stato bello leggerti, meno male che non hai lavorato…

  2. (racconto semiserio divorato oggi al posto di lavorare).

    vuoi mettere?!

    difficilmente i miei occhi sorridono così!!!

    🙂

    e penso: che bella energia hai Mic!!!

    sai sorprendere come pochi…

    in continuo movimento….

    Ti abbraccio*

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