Backup delle emozioni

Sono un fotografo che immagazzina espressioni immaginarie con la pellicola dell’anima.

Che ci fa un fotografo con le parole? Ma che domanda, suvvia! Dopo averle impresse nella testina, magari per giorni e giorni, le sfila tutte insieme e le lascia cadere nella bacinella dello sviluppo. Il tutto avviene nella camera oscura della mente. Qualche minuto e poi, dopo una breve sosta digestiva di arresto, le versa nel fissaggio al fine di renderle sostanza. Infine appende le parole emerse, ora visibili, ad un filo per asciugarle. Trascorre qualche minuto. A quel punto queste hanno preso forma e possono essere raccolte sopra una parete bianca per formare frasi, idee, concetti. Spesso astrusi. Poche e rare volte, invece, le parole riescono nel magico intento di riprodurre un’emozione.

E’ un peccato, un grande peccato, quando ciò avviene, rischiare di perdere del tutto le emozioni passate o di farle sbiadire nel nostro personalissimo album dei ricordi. Ed, allora, che fa il saggio scribano (dotato di penna)? Ma dai! E’ chiaro. Ordina con cura monacale i fogli e li ripone accanto alle fotografie in bianco e nero. Poi mette il tutto dentro un baule ben chiuso e lo ripone in un luogo sicuro al riparo dalle innondazioni del tempo. Per conservare a lungo le tracce di inchiostro e cuore. Crea un backup cartaceo delle emozioni.

E… se le parole vengono versate dentro un computer? Che fa l’accorto programmatore? Duplica e salva con cura quanto la mente del fotografo e dello scribano (dotato di tastiera) hanno prodotto nel tempo. Vuoi mica che un’avaria improvvisa dello splindero di turno o qualche altro stramaledetto maleficio del diavoletto dei bits mandi in fumo in un secondo il frutto di mesi o anni di scrittura? Il mare di pixel generato? Certo che no. Allora copia frasi, idee, concetti e crea un backup informatico delle emozioni per conservarle al sicuro. In un hard disk, sopra un cd, su di un server.

Questo post vuole essere un semplice avvertimento, un memo, per ricordare a tutti di salvare sempre almeno 2 volte quanto scriviamo e fotografiamo per pubblicarlo sopra i nostri blog. Insomma, non rischiamo che le nostre emozioni possano essere rubate e cancellate per sempre. Blogger avvertito mezzo salvato. Eh!

Morale finale. In fondo, che cos’è il blog stesso se non un backup delle nostre emozioni? Mica parole al vento, perbacco!

Sori

Ok sono brillo. Anche di più. Poche righe per raccontare di una meravigliosa serata trascorsa sulla spiaggia di Sori a bere vino e godere dell’amicizia di persone nate in molti posti del mondo. Perù, G.B., U.S.A., San Salvador, Australia, Italia. Eravamo a cuocere bistecche sulla brace a pochi metri dal mare ed a cazzeggiare divinamente. Bello, bello, bello! A costruire capanne di pietre e lanciare sassi piatti nell’onda. Eravamo noi, ciucchi e felici di condividere colori di pelle differenti e sprazzi di fine estate segnati dalla gioia di sognare insieme. Siamo. Sono. Eravamo il mondo.

Vela Bianca

L’unico vero rischio nella vita è non voler correre alcun rischio. La frase è contenuta in “Vela Bianca”, romanzo scritto da Sergio Bambarén, autore australiano nato in Perù che ha scritto libri di grande successo che raccontano di delfini e di brezze d’oceano. E’ la storia di Michael e Gail e del loro viaggio a bordo di un cabinato alla ricerca di…

Questo intenso libro l’ho letto la scorsa estate coccolato su un’amaca dalla quale respiravo il mare di Ponza e facevo scivolare il mio sguardo verso le barche a vela che veleggiavano oltre il faro di Punta della Guardia. La prima estate senza navigazioni a vela dopo le molte trascorse a bolinare sulle affascinanti acque del Mediterraneo.

E in una giornata nervosa come oggi vorrei chiudere gli occhi e farmi scrittura. Sognare una vela bianca e salpare verso i grandi oceani alla scoperta di nuovi valori e nuove terre. Vorrei ritrovare la pace in me e godere degli spruzzi marini sopra la pelle. Timonare nel blu per giorni. Senza alcun orologio a ricordarmi di ritornare. Soltanto una bussola ed un sestante.

In una giornata come oggi mi sento un pirla a non voler correre alcun rischio. A non partire. A fare cose interessanti, si. Ma mai come dirigere la prua di una chiglia potettiva oltre infinite onde e provare fortissimo il senso di vivida libertà che solo il mare e la buona compagnia sanno donare. Torno a lavorare.

Il mio giardino

Io sono il mio giardino.

E quando, come oggi, mi ci dedico con rinnovata passione, ciò significa che voglio stare meglio. Sentirmi più bello.

Taglio il prato, poto le rose, zollo la terra. Ascolto la terra. Strappo la gramigna e separo i nasturzi. Allontano le idee infestanti. Elimino le foglie seccate delle ortensie ed i rami in eccesso del rincosperma. Semino la vita. Innaffio nuova vita. Respiro i verdi profumi che il mio piccolo giardino sul mare mi offre e poi mi sento soddisfatto di tanta pace ritrovata. Mi siedo e contemplo il mosaico di sfumature nuovamente ordinato. A lungo osservo il rosmarino, la salvia, la lavanda, le piante grasse ed i rampicanti. Taglio il basilico e l’insalata novella per cibarmene insieme a te. Colgo una gardenia e la dono a te. Ascolto le mie radici e sono me, più bello che mai.

La bellezza salverà il mondo. Il giardinaggio può darle una mano.

La nostra cara Angela

Amicizia. Stare insieme a te è sempre un fortunato scorrere del vento. Vento lontano che, come il volo di un’america errante, si posa con la leggerezza di un’upupa migratrice sui nostri cuori e li ascolta con generosa sensibilità. Sei la spugna che assorbe i nostri dolori ed i nostri successi. Per regalarci il tuo sorriso e dipingerlo sul nostro. Sempre. Grazie per la cena e per i progetti che insieme costruiremo. Ti voglio bene, Angela, come un amico.

E con dolcezza è partita la sua mano

Ho chiuso un poco gli occhi e con dolcezza è partita la sua mano.

Nella sua sapiente mano lo strumento a scolpire nuove forme al mio sorriso.

D: Se ti faccio troppo male dimmelo.

M: Ma quando è “troppo male”?

M: Sei gentile e dolce nei tuoi movimenti tanto spesso ripetuti.

D: Ti illumino.

M: Vedo. Non vedo.

D: Stai rilassato.

M: Non ho paura.

D: Bene.

M: Speriamo bene.

D: Lo senti? Senti che ti sto perforando?

M: Certo e non sono tutte rose e violette.

D: Ora la tua lingua mi crea difficoltà.

M: E’ li. Non posso spostarla.

D: Ti aspiro la saliva.

D: Entro?

M: Entra.

D: Sei rilassato, comodo, a tuo agio?

M: Certo, lo sono. Se non mi tormenti troppo posso anche appisolarmi.

D: Infatti, vedo.

D: Dai, non manca molto.

M: Sento. Non sento. Sentooo.

M: Ahhhhhh!

D: Scusa.

M: Niente.

D: Esco.

M: Esci.

M: Mi sono bagnato.

D: Scusa.

D: Mi tolgo la protezione.

M: Devo venire ancora?

D: Si, la prossima settimana. Stessa ora.

La mia dentista ha gli occhi color azzurro mare.

Abitare per Scrivere

Abitare. Quanto la usava questa parola la Manu, la mia ultima fidanzata! Grazie Manu di avere insegnato a me, scolaro spesso distratto, la teoria e la pratica dell’abitare le proprie emozioni. Ed anche le idee. Il senso di ciò è lo stesso che avviene quando indossiamo un vestito nuovo ed ancora non ci sentiamo a nostro agio. Solo dopo giorni, dopo averlo abitato, indossato più volte e con sempre maggior disinvoltura, possiamo dire di possedere l’anima del vestito. Di essere tutt’uno con esso. Di abitare l’abito.

Non scrivo mai a meno di aver avuto la possibilità di abitare con la calma ed i tempi a me necessari l’emozione, l’dea, della quale ho desiderio di scrivere. Questa pratica dell’abitare capita nei momenti della giornata in cui la mente è più libera e rilassata. Nel sonno, ovviamente. Spesso, molto spesso, sotto la doccia e sarà per questo, forse, che adoro fare doccie lunghe anche mezz’ora, anche più di una volta al giorno. Talvolta capita mentre leggo parole altrui o quando cammino o intanto che mi alleno in palestra.

Abitare per Scrivere, dicevo.

Per capire.

Per emozionarmi.

Per condividere.

Per migliorarmi.

Per sputare il rospo.

Per esplorare i limiti.

Per fare arte.

Per comunicare.

Per sorridere di me.

Per volare oltre la superficie.

Per immergersi sotto la superficie.

Per evitare i versetti fini a se stessi.

Scrivere per giocare e partecipare con vivace intensità al gioco della vita rappresentato così magicamente nel bioblog. Il regno di grandi e mediocri scrittori, comunque artisti.

Oggi ho ripreso a lavorare con maggiore assiduità rispetto ai giorni precedenti. Ho avuto pochissimo tempo per passeggiare dentro i blog. Tuttavia la mente blogghettara non è si è fermata del tutto. Anzi.

Ho abitato per un giorno intero il significato del mio blog. L’ho fatto nelle piccole pause che la giornata mi ha offerto, una giornatona contraddistinta da nuovi ed entusiasmanti contratti, dai giochi con i miei adorabili nipotini, dai progetti con Ale, da nuove programmazioni e da tutto il resto.

Sopra tutto ho cercato di intuire chi sia l’azionista di maggioranza del mio blog. Chi tra voi ed il sottoscritto ed in che percentuale. Avevo necessità di scoprirlo perchè mi ero accorto che, col passare dei giorni, il rischio che queste pagine mi sfuggissero di mano stava aumentando con velocità esponenziale.

Tre le conseguenze di ciò. La prima, quella di distrarmi un tantino troppo dal lavoro, La seconda, quella di scrivere per stupire e fare arte fine a se stessa e, quindi, arte impura. La terza infine, la più grave, quella di scrivere allo scopo principale di riempire il mio ego nutrendolo dei vostri commenti sempre così gradevoli ed incoraggianti.

Il rischio l’ho corso. Credo… solo corso. Ci ho messo del tempo per abitare i brividi che lo scrivere su questo blog mi regala. Ora so che, ogni qual volta sentirò il desiderio di meglio abitare le mie emozioni più intense, mi fermerò. Osserverò.

Mi riposerò per un giorno, una settimana o un anno, se necessario. E, per quello che ne so, questo potrebbe anche essere il mio ultimo post. Se avrò qualcosa da dire, al contrario, edificherò una casa grande grande di solidi mattoni d’acqua costruita. Una casa-mare aperta al mondo nella quale respirare le mie emozioni ed idee più profonde. Insieme a voi. Non per voi.