Fado e torno

Lisbona
🙂 © 2009

Lisbona
🙂 © 2009

Lisbona
🙂 © 2009

Fado e torno da Lisbona.
Ci sono volte nelle quali le immagini parlano dei miei stati d’animo molto più delle parole. Forse.

Dopo aver ritrovato il karma del lucido benessere ed essermi cullato nell’abbondanza per mesi mi sono accorto, d’improvviso, di aver finito le vettovaglie. Questi sono tempi strani. Momenti come dopo una sbornia quando ritorni al circolo della normalità.  Apri il frigo e, cazzo!, è vuoto, a parte una carota rinsecchita ed un panino di burro scaduto da settimane. Neanche una bottiglia.

Di quelle che ti facevano sognare, un tempo. Orbene, nella fame e nella sete, sopraggiunge lo stato di fado. Sarà per questo che ti senti, man mano, sempre più fragile. Che ti commuovi per niente (o tutto). Che entri in uno stato di sospensione nel quale il lavoro diventa droga, i soldi un modo per sentirsi protetto e le relazioni, all’infuori di quelle familiari, ti paiono come caselle di una tombola da aprire o chiudere con l’ispirazione del caso.

Vivo di mancanze. Sublimo con il cibo ed il raggiungimento di traguardi fittizi studiati di giorno in giorno. Pensandoci bene è una vera ibernazione dell’animo, la condizione che vivo. Meglio: nella quale vorrei vivere. Nessun dolore. Tanta voglia di fluttuare tra gli ostacoli saltandoli come un corridore di regalità vestito. Con leggerezza, determinazione ed una buona dose di viltà.

Tendo a sopravvivere con una certa dose di eleganza ed oscena inconcludenza. Sto bene così, in fondo, nella mia bolla di vetro infrangibile alla deriva per il mondo.

Agfa

wales

🙁
© 2009

Grazie, mio adorabile amico, che ti sei preso cura di me per 16 anni. Ciao e stai bene, lassù, dove sono volati i tuoi baffi fieri. Sarà strano, strano da matti, domattina, al risveglio, non sentirti più brontolare tenacemente per la pappa mentre accenderò la macchinetta del caffè. È vero, sai, come notavano tutti, che quando io ero felice lo eri anche tu e quando eri irrequieto tu lo ero anch’io. Strano, cazzo, strano e triste, ora, udire tutto questo silenzio addosso. Rrrrrrrrrrr rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr rrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr.

Rinculi notturni

Prima non mi succedeva. Fino all’anno scorso, almeno, succedeva quasi mai di non riuscire a prendere sonno. L’anno scorso mi chiamavano sasso, sorridevo sempre ed avevo trent’anni mentre quest’anno ne ho di nuovo quarantasei. L’anno scorso conoscevo solo di rimando il significato della parola dolore. A ben leggermi l’avevo conosciuto direttamente, si, ma sepolto da un secolo. Oggi, sarebbe consono dire stanotte, invece, percepisco un po’ meglio le sintomatologie umane legate al senso di dolore e forse capirò in seguito, ma solo in seguito, che ciò non sarà stato del tutto un male. Che è molto normale. Oggi, come accade da molte notti, queste senzazioni mi provocano insonnia. Oggi sono le 3 e sono salito per tirar fuori.

Tento. Anche un’ora fa avevo tentato. Di andare a dormire ad un’ora decente. Poi succede che vengo sovrastato da orde di pensieri, nenie incontrollabili, che, appunto, impediscono di addormentarmi. Poco fa, abbracciato al cuscino, ad esempio, ricordavo con forza di quando la mia carne entrava nella sua, con vibranti pulsioni, quell’ultima volta. Ed è stato struggente sapendo che, mentre ciò accadeva con un’intesità raramente provata, lei mi stava lasciando. Carne nella carne. Non sono tutti perniciosi, i pensieri che non mi fanno addormentare. Come quelli legati a ieri sera, di meraviglia, quando una bimba di due anni si è addormentata aggrappata al mio collo, con vibranti pulsioni.

Altri pensieri, altri ancora si sono sovrapposti: il mio gatto che sta male, mio padre, una questione di lavoro, il pagamento del canone, un dolore allo sterno, la valigia da preparare, il suo ultimo abbraccio, il suo primo abbraccio, che faccio? salgo? salgo e scrivo due righe e me ne fumo una?, dai devi dormire, le previsioni promettono pioggia, guarirà, mi sento invecchiato, la vita è ad un bivio, basta con le cervalla fritte di sera, il gol di Milito, abbiamo scambiato due chiacchere stasera ed io ho pianto come quasi sempre, lo stomaco va un po’ meglio, ho chiuso il gas?, chissà cosa starà succedendo nel mondo che so tipo in quello sperduto villaggio africano?, l’anno scorso partivamo per Praga lei ed io, mi manca, a quel paese le religioni tutte, il cancro è una bestia che va sconfitta, il senso? dov’è il senso?, mi sa che anche se mai l’ho fatto dovrei iniziare prendere qualche ansiolin, dai ora salgo ed accendo il computer, è una vita che desideravo camminare tra i vicoli di Pessoa, miaooo, ho lasciato i piatti da lavare, il film su Anna Frank, il tutto diviene, con vibranti pulsioni. Ho sonno ma non ho sonno.

Io li chiamo rinculi notturni. Ora mi servirebbe un colino per filtrarne la parte ricca di caffeina.

Ritento. Sarò più assonnato o, almeno, svuotato?

Affittasi

wales
🙂 © 2009

Ho trovato casa. Almeno per un po’. Nell’inserzione era scritto: "Affittasi 100 mq. in villetta per foto amatori – ampio giardino ed infinita piscina scoperta – no clacson – perditempo non astenersi". Nel bagaglio solo un gondone mentale ed una candela per scaldare le notti senza luna.

Orgasmo letterario

Erano anni che non mi accadeva, sai. Almeno non a questo livello. Una specie di sindrome di Stendhal applicata alle parole scritte. Che, pur giunto a metà del libro "L’eleganza del riccio", già mi ripropongo di rileggerlo non appena l’avrò terminato o, tutt’al più, nei prossimi mesi. Cosa mi sta succedendo? Che l’effluvio delle parole annusate tra le pagine di quest’opera sta riempiendo la mia pancia vorace di quel genere di leccornie rare che hanno il potere di regalarti il senso più alto del concetto di bellezza. Autentica ed originale. Intendendo per bellezza la capacità di giungere al nucleo delle cose rimanendone sedotti.

La prosa di questo libro è elegante e linda. Ordito raffinato e, nel contempo, essenziale. Di una finezza scevra da protagonismi ed orpelli. Colta ma senza intelletualismi. Oltre ad essa ciò che sta conquistandomi maggiormente è la capacità introspettiva dei protagonisti, personaggi di variegata umanità e disumanità, raccontati dall’autrice con una lucidità che di rado avevo percepita prima d’ora tra le trame d’inchiostro di un testo. Tutto ciò ha un senso, ora. Mi sta dando un senso. Del quale farò tesoro. Grazie Muriel. Ebbene si, sto proprio godendone. Come un riccio. Vado avanti a sfogliare le vite.

Stimoli

Ho comprato due arbanelle di acciughe soto sale al mercato dell’ingrosso ed un paio di occhiali da vista. Sono seduto su una bitta del boulevard De Andrè. Ad aspettare. Dice che le acciughe durano un anno o poco più. La data di scadenza non sta scritta ma c’è. Dice che non sono lenti per guardare lontano ma sono molto efficaci alla breve distanza. Infatti ho messo a fuoco subito il fatto che le mie gambe, nonostante le molte ferite, sono ancora forti e muscolose per saltare sul primo ketch e salpare verso le terre dei chissà. C’è amarezza, ora, tanta amarezza nel guardare tutte quelle fotografie di ieri che stanno ingiallendosi nell’espressività. Dice che all’amarezza bisogna reagire. Dice che bisogna tenersi legati al timone per non finire a mare quando la burrasca sopraggiunge. Dice che qualche rotta verso la quale planare la si trova prima o poi. La tramontana soffia forte, oggi. Dice che quando hai subito un danno sai di poter sopravvivere. Tre strati di pelle. La banchina è deserta. Me ne accendo una. Non tremo, ora, non più. Ho solo tanta voglia di sfogarmi. Cibo ne ho ed anche la vista per disegnare nuovi percorsi sopra una carta nautica vergine. È di nuovo il tempo dei flutti. Partire sarà una necessità, più che un desiderio.